mercoledì 7 gennaio 2009
Una studiosa italiana ha rintracciato in un mosaico della cattedrale di Otranto il precedente della nota favola di Perrault La figurina dell’opera che il monaco Pantaleone fece eseguire sul pavimento intorno al 1163 indossa le calzature sulle sole zampe di sinistra. «È l’unico esempio di simile rappresentazione». Simbolo di un vizio o di una virtù? Per l’esperto teologo Gianfreda c’è un’allusione alla leggenda di Barlaam e Ioasaf, cristianizzazione medievale della storia di Buddha.
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Da 850 anni il Gatto cam­mina nel Duomo di O­tranto e nessuno ancora l’ha buttato fuori di chiesa. Bella forza: calza un paio di stivali che ne rendono ancora più felpata l’andatura, rendendolo quasi a­nonimo tra i tanti e tanti anima­li curiosi o mitologici che infol­tiscono l’incredibile ricamo di tessere steso sotto i piedi dei vi­sitatori... E tuttavia la sua figura non può passare inosservata, nel fastoso mosaico che il monaco Panta­leone fece eseguire sul pavi­mento della cattedrale idruntina intorno al 1163, non foss’altro che per un particolare: il « Gatto con gli stivali » – rappresentato verso l’ingresso, in un angolo al­le radici dell’ « Albero della vita » che occupa la navata centrale della chiesa pugliese – non calza gli stivali sulle zampe posteriori, come siamo abituati a vedere nelle illustrazioni ( an­che quelle di Gustave Doré) del­la celebre fiaba resa immortale da Charles Perrault, ma indossa le calzature sulle sole zampe di sinistra. Al che il mistero si fa doppio: che ci faccia, cioè, il fa­voloso personaggio all’interno di un capolavoro che anticipa di parecchi secoli la storia del mar­chese di Carabas e del suo felino servitore, e come mai sia calzato in tale strana maniera. Anzi, per la verità bisognerebbe aggiungere una terza domanda – e preliminare: se questo micione di Otranto abbia davvero a che fare col « Gatto dagli stivali » di fabulosa memoria. Per ora si tratta infatti soltanto di un’ipotesi, avanzata dalla ricercatrice trentina Maria Teresa Lezzi in una tesi di dottorato discussa nel 1999 alla Sorbona e tuttora in cerca di editore italiano; titolo ( traduciamo): « Il mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto. Studio iconografico » . È in quelle documentate pagine che la specialista italiana definisce il « gatto con gli stivali una delle figure più enigmatiche del mosaico. Non esiste, almeno a nostra conoscenza, altro esempio di simile rappresentazione». E cita a supporto L’enigma di Otranto, testo del 1980 in cui il tedesco Carl Arnold Willemsen crede di vedere nel musivo felino una variante appunto del « Gatto » di Perrault. Secondo la Lezzi « quest’ipotesi, anche se difficile da provare, sembra accettabile perché – benché la favola di Charles Perrault dati solamente dal 1695 – le fonti dell’autore risalgono a un’epoca assai precedente » . È così, infatti, come è facile provare risalendo all’indietro nella cronologia della favola francese: gli antenati del « Gatto » letterario si trovano nella novella Gagliuso contenuta nel Cunto de li cunti ( 1634- 36) del napoletano Giovanbattista Basile e prima ancora nella Gatta di Costantino de Le piacevoli notti ( 1551- 53, tradotto in francese nel 1576) del lombardo Giovan Francesco Straparola; guarda caso, due autori italiani e il primo originario proprio del Meridione, non così distante cioè – nemmeno culturalmente ( è infatti provato che Basile ha usato come fonti anche le tradizione dialettali locali) – dal mosaico di Otranto. E i contatti di Perrault con la cultura partenopea del suo tempo sono ben documentati, poiché a Versailles erano numerosi gli artisti, attori o cantanti lirici napoletani; una nipote di Basile era stata appunto in tale veste alla corte del Re Sole, mentre l’autore del « Gatto con gli stivali » scrisse addirittura una vita del campano san Paolino da Nola. Tuttavia – sia per la fama « fatata » che ( dagli Egizi alle streghe) circonda i felini, sia per la loro misteriosa contiguità con l’universo umano – gatti furbi che si rivelano una vera e propria fortuna per i loro padroni appaiono pure in altre culture anche lontane: per esempio nei miti popolari scandinavi, in una storia norvegese, in un racconto bretone... Anche di Straparola, del resto, è incerto se abbia inventato di suo il racconto del « Gatto » oppure abbia semplicemente trascritto una narrazione orale circolante già molto tempo prima. In effetti, a parere del medievista Pierre Gallais – interpellato direttamente dalla Lezzi – non esistono testimonianze scritte di un «Gatto con gli stivali » anteriori al XII secolo, « però non si può escludere una tradizione orale» precedente. Come fa notare la stessa Lezzi, sul medesimo pavimento idruntino sono ospitate altre leggende di origine popolare, tra cui una raffigurazione di Re Artù che risulta assolutamente precoce, se si considera che i principali testi sul mito del sovrano bretone sono più o meno contemporanei all’opera di Pantaleone; per cui non sarebbe eccessivo ipotizzare che il monaco pugliese abbia attinto ispirazione da fonti orali di dominio pubblico. Del resto, l’interpretazione del capolavoro idruntino è tutt’altro che assodata e univoca. A parte alcuni episodi biblici ( la cacciata dall’Eden, la torre di Babele, il diluvio universale, la storia di Giona) o raffigurazioni allegoriche ( i 12 mesi), la lettura del grandioso complesso musivo nasconde molti misteri; non a caso le letture esoteriche, gnostiche, addirittura talmudiche si sprecano. In tal contesto il «Gatto con gli stivali» ha finora assunto vesti diverse: quella di un simbolo di un vizio o di una virtù, o di un « animale ludico » ( Walter Haug, Il Mosaico di Otranto., 1977), o ancora di un leone a guardia dell’ «Albero della Vita » , e così via. Da parte sua monsignor Grazio Gianfreda – certamente il più costante studioso del mosaico, autore di innumerevoli pubblicazioni sul tema tra il 1970 e il 2007, anno della morte – ha tentato di avanzare un’ipotesi fortemente contrastata: quella che il Gatto sia in realtà un... topo, posto lì in contrapposizione con i due elefanti raffigurati appena sotto e con allusione a un episodio della leggenda di Barlaam e Ioasaf, cristianizzazione medievale della storia di Buddha. Insomma, le teorie sul micione non mancano di sicuro; ma nessuna ha ancora spiegato perché il famoso « Gatto » abbia gli stivali alle zampe – e solo a quelle della parte sinistra. Maria Teresa Lezzi aggiunge un particolare che forse rafforza il legame tra Otranto e la fiaba, ma intrica ancor più la vicenda: la favola di Perrault è contenuta nella raccolta dei Racconti di Mia Madre L’Oca, personaggio che evoca quello della Regina Pè d’Oca e attraverso essa della Regina di Saba, altra misteriosa protagonista del mosaico idruntino insieme a figure mitiche della regalità come il suddetto Artù, Salomone e Alessandro Magno... E a questo punto non c’è che dire: gli stivali delle sette leghe portano davvero lontano. La figurina del Gatto con gli stivali nel mosaico di Otranto
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