sabato 22 novembre 2014
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È passionale, volitivo, generoso al punto da regalare una trentina di magliette con la scritta del suo spettacolo a tutto il cast e lo staff tecnico. È puntiglioso al limite del maniacale, ma pronto a recepire e a vagliare qualunque punto di vista differente dal suo. Ed è soprattutto beato fra le donne in 7 minuti, uno spettacolo, caso più unico che raro, che porta in scena ben 11 interpreti, tutte donne! Non lo nega Alessandro Gassman, che ha curato la regia di questo suo ultimo lavoro, così come ammette che ci è voluto un certo coraggio e anche un pizzico di follia. Perché questa scelta ardita che richiede tra l’altro uno sforzo produttivo imponente? Perché il teatro soffre di mancanza di follia e io seguo le mie passioni, sono stato cresciuto e addestrato a ricercare l’odore di zolfo che troppo poco spesso in teatro è presente. Essendo un personaggio pubblico sfrutto biecamente la mia popo-larità per portare sul palcoscenico quello che non mi è consentito fare, né dire fuori. Cosa le ha fatto dire: «lo devo fare!»? La qualità della scrittura, il lavoro dell’autore Stefano Massini. La possibilità di affrontare un tema così attuale e drammatico nel nostro Paese in questo periodo di crisi: la perdita del lavoro e dei diritti. E anche la possibilità di cimentarmi con un testo che avesse 11 personaggi femminili e quindi con altrettante attrici in scena, tra cui la grandissima Ottavia Piccolo. È una bellissima sfida. Ho imparato moltissimo sulla psicologia femminile. Le donne sono molto più complesse di noi maschietti e questo ti obbliga a fare molti più procedimenti per arrivare alla comprensione di un personaggio femminile. Io poi sono un “regista molto attore” e quindi molto attento alle esigenze degli attori, alle paure degli attori. Sono esseri fragili e delicati: vanno in crisi. Queste mi piangono ogni giorno una alla volta, spesso a due a due, per fortuna ho Ottavia Piccolo che mi aiuta. Però la cosa che mi piace di questo gruppo di straordinarie interpreti è che non c’è una che tenti di prevalere sulle altre, sono persone molto belle e si faranno una bella tournée. In tutta la messinscena domina l’assunto che «il tempo è denaro ». Kronos ha soppiantato Kairòs, il “tempo di grazia”. La sua regia sembra aver voluto enfatizzare questo aspetto… Assolutamente sì. Il tempo viene ormai monetizzato, il denaro e l’economia dominano su tutto ed è sempre più raro sentire politici parlare di cultura e istruzione. È un gravissimo errore perché sono fermamente convinto da molto tempo che il nostro paese dovrebbe essenzialmente vivere di questo e sfruttare il suo immenso patrimonio artistico che è il più dotato al mondo. Ma non voglio entrare nel dettaglio del disfacimento culturale di questo paese. Ma perché secondo lei si fatica a capire che con la cultura si può e si deve mangiare? Perché c’è così tanta miopia? Non penso che non si capisca, penso che non ci sia la volontà e qui entro in un discorso molto delicato: io credo che non ci sia la volontà perché teatro, cinema, letteratura vuol dire cultura e una società di gente acculturata e reattiva è molto meno facile da manovrare e manipolare. Anche se la classe politica che questo paese ci sta regalando, a dire il vero, non è in grado di governare nemmeno se stessa. Torniamo allo spettacolo... Ha voluto che i primi a vederlo fossero dei giovanissimi studenti del liceo. Perché? Lo faccio sempre con miei spettacoli. Quando si fanno le “scolastiche” a teatro solitamente si portano i ragazzi unicamente a vedere i classici perché fanno parte del percorso didattico e va anche bene, ma spesso assistono a rappresentazioni pesanti e così perdiamo i potenziali spettatori di domani. Credo che bisogna offrire loro la possibilità di vedere drammaturgia contemporanea che abbia all’interno istanze sociali o politiche e che possa avere a che fare con la vita di tutti i giorni… Ieri le mie attrici mi hanno detto che c’erano ragazzi con gli occhi lucidi, visibilmente commossi! È molto probabile che loro a teatro ci tornino. 
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