martedì 17 maggio 2016
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Il Novecento (forse anche nella poesia europea?) vive e sopravvive, magari alla buona, cercando di aggiornarsi un po’, interpretando la scrittura di massa come un diluvio; come se l’Ottocento traboccante nel Novecento avesse imitato il futurismo senza riconoscerlo. Gattopardianamente, bisogna pur che qualcosa muti perché tutto resti come prima. È un monolite che vorrebbe galleggiare come un sughero. La scrittura di molti, ritenuta di troppi, rappresenterebbe la fine della letteratura; dopo di noi, appunto, il diluvio. Si tratta di una visione dura, sprezzante, che riguarda ovviamente la folla creativa degli altri. Che fare di tutta questa scrittura e di questi scriventi? Non è sufficiente saldare il conto eludendo il problema. Forse non ha davvero senso usare sbrigativamente l’apocalisse, applicando la Nagasaki-terapia. Nascono gruppi di poesia ovunque. Recentemente mi sono iscritto e ho partecipato, come regolare concorrente, a un incontro di Slam poetry, tenutosi a Milano, una domenica all’ora del vespro, nel centralissimo Ostello Bello. Il salone è stracolmo di giovani, distribuiti anche in piedi lungo i muri. Le votazioni per alzata di mano, come ad Atene. Mai visto niente di così vitale. Spontaneo, il movimento è come un ’68 della poesia; tutto da proscrivere? Il livello è tutt’altro che basso; Bruno e Max tengono le briglie della manifestazione. Una giovane di colore porta i saluti dello Slam di Parigi. La competizione, di eliminatoria in eliminatoria, sempre per alzata di mano, proclama vincitrice una giovane turca. C’è ancora rapporto tra questa realtà e il Novecento superstite? Credo di sì e che sia molto stretto e consistente. L’accatastamento dei popoli nelle metropoli, sempre più maggioritario, progressivo e precipitoso ci pone in infiniti ammucchiamenti esistenziali, rilucenti come ammassi incandescenti e creativissimi. Questo è il dato esploso, che viene da lontano, ma che manifesta il suo gigantismo nel terzo millennio. Certo che il fenomeno dell’inurbamento è addirittura plurisecolare ma quando la palla di neve diventa valanga, quando la goccia d’acqua diventa un’alluvione e ancora quando la tegola in testa diviene terremoto, questo spettacolo cambia totalmente la sua natura. Allora, sempre provenendo da lontano, la quantità è tale da scardinare la qualità. Tutte le forme espressive divengono altro. Si può tentare di contenere lo tsunami fra le rive del naviglio metropolitano, ma troppo è quel che resta fuori. Ci si rende conto dunque che si parla in altro modo e che la realtà non sta più automaticamente nelle parole. Lo scrivemmo nel 2000 a un convegno a Losanna, Varcar frontiere, e a quello coevo, Scritture/Realtà, di Milano. In questo quadro allegramente realistico terminale, gli slam poetry non vanno repressi o ignorati; essi sono dei forti mosaici poetici viventi che compongono la volta e il pianoro del nostro bisogno di poesia. Qui viviamo senza il terrore del nuovo, ma usando il cannocchiale, non a rovescio, perché si rischierebbe di scambiare un dito del piede per l’universo. Intanto, tutto va sempre più a compimento. Ora che tutti ma proprio tutti ci stiamo affastellando, accoppiati agli oggetti, nelle metropoli, la poesia come la finanza si sta globalizzando. La seconda è una metastasi globale, la prima è una opportunità generale; immagino che non serva molto asserragliarsi in bastiglie letterarie. I movimenti poetici è difficile possano essere locali o nazionali e temporanei. Si è aperta una nuova partita, in cui ogni poeta è una bella tessera di lapislazzuli per l’opera delle opere. C’è posto per le singole voci poetiche, purché siano di grande sintesi dell’universale. Non ha più senso il disegnare con il compasso un’area di sopravvivenza superstite, quasi una setta, per tentare un salvacondotto. La poesia è diventata una felice pandemia della scrittura. Negare l’assunto o tentare muriccioli e fili spinati, temo abbia scarso valore sia predittivo che di interpretazione di quel che accade. © RIPRODUZIONE RISERVATA Si assiste oggi, sui social network e non soltanto, a un fiorire di nuovi gruppi di scrittura poetica Per molti osservatori si tratta di un fatto deteriore, se messo a confronto coi grandi del ’900 E se invece fosse un’opportunità?
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