martedì 23 luglio 2019
Il gigante azzurro carica l’Italia in vista della rassegna iridata: «Sognare una medaglia si può Devo tutto all’oratorio e alla famiglia: aiutare gli altri fa capire ciò che davvero conta nella vita»
L'azzurro Danilo Gallinari agli Europei del 2015 (Ansa/Ap/A.Schmidt)

L'azzurro Danilo Gallinari agli Europei del 2015 (Ansa/Ap/A.Schmidt)

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Puoi anche avere tutto dalla vita e salire sempre più su nelle sfere del successo, quando le radici sono solide rimarrai sempre con i piedi ben piantati a terra. Da tredici anni Danilo Gallinari calca i prestigiosi parquet dei fenomeni del basket Nba, ma non ha mai dimenticato il campetto dove tutto ha avuto inizio: «È quello dell’oratorio di Graffignana (Lodi), il paese di 2.500 abitanti dove sono cresciuto». Figlio d’arte di papà Vittorio, a 31 anni il gigante azzurro dopo non pochi infortuni sta raccogliendo con continuità i frutti del suo grande talento. La sua ultima annata negli States, con la maglia dei Los Angeles Clippers, è stata la migliore da quando gioca in Nba: «Una stagione speciale sia a livello individuale che di squadra». Ma non ha avuto nemmeno il tempo di godersela. La sua estate è partita subito «a tutto motore» come dice il suo motto con una serie di iniziative a sfondo benefico. «I soldi aiutano ma le cose importanti sono altre – ha scritto anche nella sua biografia Non basta l’altezza (Mondadori) –. Puoi guadagnare anche cento milioni di dollari, ma se poi quando smetti di giocare – a trentacinque, quarant’anni – ti sei creato il vuoto intorno e non hai fatto nulla per farti apprezzare, è tutto inutile». E mentre era impegnato a realizzare canestri solidali è arrivata la notizia che il prossimo anno vestirà la canotta degli Oklahoma City Thunder. Anche se nell'immediato la sua testa è tutta per la Nazionale. I suoi 208 centimetri di classe serviranno come non mai all'Italia di Sacchetti da oggi in ritiro a Pinzolo (Trento) in vista dei Mondiali in Cina (31 agosto - 15 settembre).
Ritorna in maglia azzurra dopo alcune esperienze controverse (il pugno costato il forfait all’Europeo 2017) e diverse incomprensioni.
L’episodio del pugno è stato un errore. Purtroppo ho fatto davvero una cavolata. Non avevo mai fatto nulla di simile in 31 anni. Però tutti sbagliano, ho ammesso le mie colpe e si va avanti. Con il ct invece non c’è mai stato nessun problema. Sono state solo polemiche create dai media, ma con Meo ci siamo sempre sentiti e chiariti.
L’Italia è di nuovo al Mondiale dopo tredici anni. Capitan Gigi Datome dice che per andare avanti molto dipenderà dalle sue giocate e quelle di Belinelli. Sente la pressione?
La verità è che il nostro punto di riferimento è proprio Gigi. Negli ultimi dieci anni è sempre stato lui il nostro leader. A parte il Beli per molti di noi sarà la prima volta al Mondiale e dopo tutti questi anni portare a casa una medaglia sarebbe un sogno incredibile ma non impossibile. Possiamo essere la sorpresa del torneo. Di certo passare il primo turno è alla nostra portata.
Ha già detto che in ogni caso i Mondiali non saranno per questo gruppo l’ultima chance per vincere qualcosa, perché c’è un bel mix di giovani e veterani. Ma su che cosa bisogna lavorare per togliersi delle soddisfazioni anche in questa rassegna iridata?
La chimica c’è già proprio perché giochiamo assieme da tanto tempo. Dobbiamo capire bene cosa ci chiede il coach perché per molti è un nuovo modo di giocare. E poi essere consapevoli della nostra forza perché sono sicuro che possiamo davvero far bene.
Un grande sogno però l’ha già realizzato, giocare in Nba.
Sì, la prima partita mi tremavano le gambe... Un’emozione pazzesca. Quando sono stato scelto è stato il momento più bello della mia carriera. Ma ho un ricordo fantastico anche del bronzo con la Nazionale agli Europei Under 18.
Quanto è stato importante per il suo percorso la figura di suo padre?
È stato fondamentale. Rimane indelebile per me la prima volta che l’ho battuto nell’uno contro uno a quindici anni. Mi ha insegnato tanto nel passare al professionismo e mi ha educato al valore più prezioso: l’umiltà.
Come si fa a rimanere umili quando si guadagnano cifre considerevoli?
La mia fortuna è stata proprio crescere in una famiglia dai sani principi. Rispetto, umiltà, dignità e spirito di sacrificio sono quattro qualità che vorrei trasmettere anche io un giorno ai miei figli. Perché, non lo nascondo, mi piacerebbe molto riprodurre quello che hanno fatto i miei genitori. Poi oggi mi aiutano tanto le esperienze che faccio fuori dal campo in mezzo alla gente...
In che senso?
Vado spesso anche in America a trovare i malati in ospedale e lì ti accorgi che i tuoi problemi sono niente rispetto ai loro. I veri eroi sono loro, sono loro modelli da seguire. Mi è capitato anche a giugno visitando i pazienti oncologici all’Humanitas di Rozzano (Milano).
L’ho vista davvero provata in quell’occasione...
È stata un’esperienza davvero tosta. Ho parlato con due ragazze Anna e Martina ed è stato allucinante ascoltare la loro giornata tipo: di notte la sveglia ogni due ore per i medicinali, solo una camminata di mezz’ora nell’arco delle 24 o- re... In questi casi la fede è decisiva. Ma anche se non arrivi a vivere queste situazioni puoi scoprire che credere ti dà una grande forza.
Il suo impegno nel sociale è legato anche a questa sua dimensione religiosa?
Assolutamente sì. Me l’hanno trasmessa i miei genitori e tutte le attività che ho fatto in chiesa con l’oratorio sono state alla base della mia infanzia e adolescenza, sono parte di me. E anche se oggi non riesco ad essere assiduo, il mio rapporto con Dio è fondamentale e quotidiano, comincia la mattina appena mi sveglio. E sarà sempre così.
Tra le iniziative che porta avanti prosegue con successo “We playground together” che punta a rimettere a nuovo ogni anno un campetto di Milano...
È un modo per restituire qualcosa alla città che mi ha dato tanto e dove un giorno voglio chiudere la carriera con l’Olimpia [società che l’ha lanciato, ndr]. Quanto ai campetti, io andrei avanti all’infinito: mi piacerebbe rifare tutti i playground di Milano... Ma sono 120, facendone uno all’anno non mi basterebbero tre vite... Spero che in futuro crescano e si affermino giovani in grado di continuare questa iniziativa. Il primo campetto però ad essere rifatto è stato il playground dell’oratorio di Graffignana. È bellissimo, ci tenevo tanto e sono contento di esserci riuscito.

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