venerdì 13 maggio 2016
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L’immagine più nota di Ugo La Pietra lo vede sdraiato su un piano inclinato, in mezzo a una strada nebbiosa della periferia milanese. Quelle due assi incernierate sono Il commutatore (1967-1970), strumento con cui era possibile cambiare angolazione del punto di vista sulla città. Parte da qui la mostra che il Maga di Gallarate dedica alle «opere e ricerche nell’ambiente urbano» di una figura singolare che attraversa ogni disciplina e ogni genere, dalla pittura al design, dall’architettura al cinema, nella ricerca di una «sinestesia delle arti» (riepilogata esaustivamente nel volume che accompagna la mostra a cura di Marco Meneguzzo, Ugo La Pietra. Il segno randomico, Silvana Editoriale). Cifra del lavoro urbano di La Pietra è la liberazione dello sguardo: uno sguardo obliquo, che invita a uscire dagli schemi, spostando la lettura della città da complesso di spazi a complesso di esperienze. Spesso il principio adottato è quello del ribaltamento, come nel caso di quell’Interno/ Esterno del 1979 dove entrando in un salotto si esce in una strada di città. Nella vasta serie di lavori che si rifanno al Sistema disequilibrante, La Pietra propone interventi in cui ogni precomprensione (spaziale, sociale, funzionale, gerarchica) dell’ambiente viene messa in discussione in logica antisistemica. È una ricerca che ben si iscrive nel filone dell’architettura radicale (prove concrete sono ad esempio le Immersioni della fine degli anni ’60) e che è indicativa di quell’epoca, come anche certa verbosità. Ma a salvare retrospettivamente il lavoro di La Pietra dal repentino invecchiamento, visivo e soprattutto ideologico, che invece ha colpito molti dei suoi colleghi, è il vivacissimo senso dell’ironia che argina con efficacia ogni rischio di deriva utopica e retorica. Ugo La Pietra, infatti, non formula soluzioni a priori, ma constata. Ed è ciò che consente alla sua operazione critica sull’habitat umano di avere un valore oltre la situazione per allargarsi a una dimensione - ma forse La Pietra non apprezzerebbe questo termine - 'classica'. Esemplare è in questo senso Processo di sostituzione, del 1975, in cui illustra lucidamente la trasformazione dell’area dei Navigli a Milano prima in zona vitale, popolare e degradata, quindi a quartiere di creativi e infine la sua gentrificazione attraverso una riqualificazione edilizia che è soprattutto speculazione, con la riduzione del tessuto urbano a sfondo di un fenomeno sociale. Un processo che oggi è visibile su macroscala. Per La Pietra il progetto è la decodificazione dell’ambiente e non la sua definizione, che è invece opera collettiva. Al centro di molti lavori è la refrattarietà dell’uomo a essere circoscritto nelle griglie di una pianificazione, ossia la tendenza istintiva a inserirsi negli interstizi del programma. È la dialettica tra legge, o meglio burocrazia, che è la sua degenerazione, e realtà. In I gradi di libertà La Pietra indaga sulla creazione da parte degli abitanti di «percorsi preferenziali» nello spazio che seguono economie diverse rispetto a quelle previste dal progetto, modellando tracciati secondo un caos apparente ma ergonomico; o le forme spontanee di creatività degli orti urbani, realizzati recuperando scarti e rifiuti spesso con scopo diverso da quello originale, come reazione all’oppressività della 'società del lavoro'. Periferie e 'cultura dello scarto' non sono d’altronde una novità nella ricerca artistica. Nel 1969 lo stesso La Pietra aveva proposto un’installazione di proiezioni giganti in piazza Duomo a Milano con immagini dell’hinterland. La periferia al centro. © RIPRODUZIONE RISERVATA Gallarate, MAGA UGO LA PIETRA Abitare è essere ovunque a casa propria Fino al 18 settembre
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