mercoledì 27 maggio 2009
Il fisico Cabibbo: se ci fosse stato l’Aquinate, il rapporto tra scienza e Chiesa nel Seicento sarebbe stato diverso. Napolitano e Betori inaugurano in Santa Croce un convegno internazionale di un’intera settimana sul «caso Galilei».
COMMENTA E CONDIVIDI
Non è mancata la solennità all’apertura del grande convegno dedicato a Galileo Galilei, organizzato dalla Fondazione Stensen dei gesuiti di Firenze insieme ad altre 18 istituzioni scientifiche, e che vede a raccolti per una settimana di lavori una trentina di storici, filosofi e teologi. Per la prima volta le principali realtà che furono coinvolte direttamente o indirettamente nel caso Galileo si riuniscono per un confronto di largo respiro, sullo sfondo dell’Anno dell’astronomia voluto dall’Unesco, a quattro secoli dalle rivoluzionare scoperte con il cannocchiale del pioniere pisano.Ieri pomeriggio, nella basilica fiorentina di Santa Croce, dove sono incastonate nella pietra e nel marmo le foscoliane «urne dei forti» – tra cui quella del Galilei – hanno partecipato all’inaugurazione dell’evento diverse personalità istituzionali ed ecclesiali. Tra queste il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (che nel primo pomeriggio ha visitato anche la mostra «Galileo. Immagini dell’universo dall’antichità al telescopio» a Palazzo Strozzi ed ha detto di apprezzare «grandemente non solo il livello ma anche lo spirito dell’iniziativa» fiorentina auspicando «un dibattito aperto e costruttivo»), il cardinale Raffaele Farina, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, e l’arcivescovo di Firenze monsignor Giuseppe Betori; il quale ha tenuto a precisare che il processo a Galileo fu un «doloroso malinteso» purtroppo «spesso erroneamente interpretato come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede» e su cui invece «vi sono tutte le premesse per un riesame sereno e obiettivo».Ad entrare nel merito del convegno sono state poi due lectiones magistrales, quella di Nicola Cabibbo, ordinario di Fisica delle particelle alla Sapienza di Roma e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, e quella di Paolo Rossi, emerito di Storia della filosofia all’Università di Firenze. Cabibbo ha voluto ricordare la genialità del Galileo indagatore della natura, testimoniata anche dalle sue intuizioni meno note al grande pubblico: dai tentativi di misurare la velocità della luce, alla discussione sulla resistenza dei materiali e sull’horror vacui di Aristotele, contenuta nei Discorsi e dimostrazioni matematiche, che gettava i semi per la misurazione del peso dell’aria e per l’invenzione – di lì a pochissimo – del barometro da parte di Evangelista Torricelli.Ma soprattutto quello che oggi desta stupore è il cambio di paradigma attuato dall’inquieto toscano: «Galilei insisté per ricevere il titolo di Filosofo e Matematico primario del Gran Duca – ha ricordato Cabibbo – non solo Matematico, come Keplero presso la corte imperiale di Praga, e prima di lui Ticho Brahe, ma anche e anzitutto Filosofo. Questa richiesta è fondamentale per capire la vastità del progetto galileiano: una scienza che non si accontenta di esplorare e descrivere fenomeni ma aspira ad una comprensione totalizzante della natura. Un tale programma diviene necessariamente una filosofia, e alla sua base è il famoso passo del Saggiatore in cui Galilei afferma che il grande libro della natura è scritto in caratteri matematici».«Che la natura possa essere descritta dalla matematica – ha sottolineato Cabibbo – è ancora oggi fonte di meraviglia. Nel 1960 Eugene Wigner, uno dei padri della meccanica quantistica, scrisse un saggio sulla Irragionevole efficacia della matematica e concluse che "non sappiamo perché la matematica funzioni così bene"». Il fisico ha terminato con un rammarico: «Alla Chiesa mancò forse all’inizio del Seicento una personalità del calibro intellettuale di un Tommaso d’Aquino, che sapesse valutare correttamente l’impatto filosofico della nuova scienza, a cominciare dalle scoperte astronomiche del 1609».Una breve apologia della tolleranza e della libertà di ricerca è stato invece il discorso tenuto da Rossi, che ha preso a riferimento finale Jacopo Aconcio – il pensatore e giurista trentino vissuto nella prima parte del XVII secolo, convertitosi al protestantesimo – e la sua opera anticattolica gli Stratagemmi di Satana. In essa, secondo lo storico della filosofia, Satana è raffigurato come colui che «moltiplica le controversie, attizza il fuoco del dissenso, spinge alle contrapposizioni radicali e soprattutto a fare uso di un linguaggio che non intende persuadere, ma mira principalmente ad offendere»: quanto di peggio può avvenire nel dibattito per un avanzamento della conoscenza.Rossi, che ha ricordato l’importanza dei pronunciamenti di Giovanni Paolo II nei confronti di Galileo, ha poi messo in guardia gli storici, cattolici o no, dall’assumere un atteggiamento da «tribunale» nell’indagare le vicende che portarono alla condanna di Galileo: «Ci si può rivolgere agli storici per distribuire i torti e le ragioni? – si è chiesto lo studioso – Per gli storici che senso può avere l’affermazione secondo la quale un individuo vissuto 400 anni fa aveva torto nel temere alcune cose o nel considerare alcune idee come estremamente pericolose?». Tuttavia «nel mondo degli studi è a volte possibile giungere a conclusioni comuni, indipendenti dai presupposti filosofici o religiosi».Il che comunque non ha impedito a Rossi di ricordare «il feroce male dell’intolleranza» proprio della Chiesa di allora (aggiungendo, bontà sua, che tale male non era «monopolio dei cattolici»), la dissimulazione a cui Descartes sarebbe stato costretto dal pesante e minaccioso clima ecclesiale di quegli anni, e il brano di una lettera che il Guicciardini scrisse a Cosimo II nel 1616: «Quelli che sanno qualcosa e sono curiosi, quando hanno cervello, mostrano tutto il contrario, per non dare di sé sospetto e ricevere per loro stessi malagevolezze». Detto da un accademico dei Lincei, ovvero di quella prestigiosa istituzione fondata nel 1603 dal naturalista romano Federico Cesi sotto gli auspici di Papa Clemente VIII, suona come un pizzico di ingratitudine.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: