martedì 18 aprile 2023
Ha fatto bene questa spadaccina a lasciare il titolo all’avversaria infortunata perché l'avversaria è più brava? Moralmente ha fatto bene, il bene è questo
Le due atlete al termine della gara

Le due atlete al termine della gara - Fermo immagine da video

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Due campionesse di spada stanno gareggiando per il titolo italiano a Vercelli, sono all’incontro finale, o una o l’altra sarà la regina d’Italia, tutt’e due sanno chi è la migliore e merita la vittoria, è quella che sta conducendo la gara per 12 a 9, ma proprio costei, diciamo la vincitrice morale, a quel punto s’infortuna a una caviglia, zoppica, è chiaro che da quel momento subirà una sequenza di stoccate e sarà sconfitta, non c’è niente da fare, ma ecco il colpo di scena: la perdente, che ha davanti a sé l’occasione della vita, comprendendo che sarebbe campionessa ma non lo merita, si ferma, accetta di essere la seconda, e così di fatto consegna la gara e il titolo alla rivale.

Le due campionesse di spada si chiamano Gaia Traditi, quella che s’è fatta male ma ha vinto il titolo, ed Emilia Rossatti, quella che l’ha lasciata vincere. Tutti esaltano Rossatti per la sua grande prova di fair play. Anch’io: nello sport deve vincere il migliore. Ma va sempre così? No di certo, anzi l’imperativo etico di quest’epoca è: nello sport conta solo vincere.

La storia dello sport è un indice di nomi, i vincitori, i primi. Non c’è memoria dei secondi. Noi italiani abbiamo un grande ricordo di Enzo Ferrari, creatore della Ferrari, anche per un suo concetto-slogan che lui ha lanciato: conta solo vincere, i secondi sono i primi degli ultimi. Cambiamo campo, entriamo in un terreno più mio, i libri: questi son giorni in cui si fa la campagna per raccogliere voti per i candidati allo Strega, e arrivano dunque i libri concorrenti: alcuni autori mettono nella biografia la dicitura «finalista a questo premio nell’anno…». Leggo, e mi chiedo se io quella dicitura la metterei. Mi rispondo di no. Significa che hai perso una volta, perché presentarti come uno allenato alle sconfitte? I premi che non si vincono non si citano. Per quanto mi riguarda, neanche quelli che si vincono. Non onori un autore ricordandolo come premio Strega. Se vinci lo Strega, non è lo Strega che onora te, ma sei tu che onori lo Strega. Lo stesso dovrebbe valere per il Nobel, ma qui c’è il problema dell’unicità nel mondo.

Un conto comunque è vincere, altro conto è meritare. In quest’epoca vale il principio che chi vince merita. Non importa se l’avversario che perde ha commesso degli errori, s’è fatto male, se ha addosso una malattia: se perde, non meritava di vincere. Puoi perdere per un infortunio, cioè per caso. Ma il caso è l’altro nome di Dio. Gli antichi mettevano il Caso o la Fortuna o la Necessità al di sopra degli dèi.

Questa spadaccina di Vercelli dice che non è giusto, e ha ragione: non è giusto. Però nessun altro finalista si comporterebbe come lei: se giochi per il titolo, allora punti al titolo, il resto lo lasci perdere. Ha fatto bene questa spadaccina a lasciare il titolo all’avversaria perché l’avversaria è più brava? Moralmente ha fatto bene, il bene è questo. E che il suo direttore di squadra non l’abbia rimproverata come altri avrebbero fatto è una notizia nella notizia. Non solo non le ha detto: «Avevi l’occasione di vincere, dovevi vincere», ma l’ha incoraggiata nella sua determinazione a non vincere così, approfittando della sofferenza dell’avversaria (e amica). Vincere è una grande fatica, e tra gli sforzi che richiede c’è anche quello di dimenticare la famiglia, i figli, gli amici e le amiche, gli impegni. Devi vincere. Anche su te stesso. Per questo è così difficile. Ma si può decidere di farlo in altro modo.

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