venerdì 7 ottobre 2011
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Il rocker Peter Gabriel riparte dall’orchestra. E il risultato del suo album New Blood, nei negozi dall’11 ottobre, sono una serie di successi «in 3D». La rivisitazione della New Blood Orchestra, 46 elementi, consegna infatti a canzoni come San JacintoRed rain una dimensione capace di andare oltre le versioni dei dischi e la loro rielaborazione per i concerti dell’artista inglese. «Tutto nasce dal tour di New blood e dalla necessità di integrare il repertorio del mio album di cover Scratch my back con brani del passato riletti attraverso la stessa ottica» spiega l’ex Genesis. «Lavorando sulle orchestrazioni di John Metcalfe ho visto che anche con questa nuova direzione la mia musica funzionava bene e uno dopo l’altro sono usciti i suoni dello spettacolo. Ho iniziato a lavorare a questo progetto orchestrale due anni fa quando l’idea non era troppo sfruttata, anche per rielaborare infatti occorre una buona dose di creatività. Mi ha sempre affascinato, ad esempio, l’idea di una band che incide un album e passa poi il resto della sua storia a rifarlo ogni anno. Sarebbe molto salutare, perché il miglior modo di confondere un artista è quello di lasciargli totale libertà; se vuoi che sia creativo e renda il massimo devi mettergli dei paletti».

L’album raccoglie il secondo tempo del New Blood Tour; quello in cui, finita la rivisitazione di classici pop dei vari Paul Simon, Elbow, David Bowie, Neil Young, Gabriel metteva mano al suo repertorio dandogli il respiro minimal-orchestrale di Metcalfe. Il disco arriva sul mercato in doppia versione, normale e de luxe (in cui al cd cantato se ne aggiunge uno con gli stessi pezzi in forma strumentale), contemporaneamente al dvd New Blood - Live in London, girato lo scorso marzo durante la tappa del tour all’Apollo Hammersmith di Londra, disponibile anche in un sontuoso box con il filmato in versione 3D, Blu-Ray e dvd.

«Anche se viviamo in un mondo frenetico dove vige la logica del fast food, per realizzare questo mio nuovo disco ho guardato all’Italia, che è la patria dello slow food. Mi sento infatti uno "slow artist", lento ma felice». Scratch my back era nato come un disco "di scambio"; Gabriel avrebbe dovuto fare cover altrui e gli omaggiati a loro volta restituire il favore interpretando canzoni sue. Ma il baratto è ancora a metà. «Provare ad afferrare certi interpreti è un po’ come dare la caccia alle zanzare, un lavoro maledettamente difficile» ammette. «Al momento ho avuto indietro solo metà delle canzoni che mi erano state promesse: gli Elbow con Mercy Street, Paul Simon con Biko, Lou Reed con Solsbury Hill, David Byrne con Fourteen black paintings, Magnetic Fields  con No one of us, Bon Iver con Come talk to me. Mi entusiasma molto sentire gli altri reinventare i miei pezzi, ma siamo arrivati solo a metà e così ho deciso di lasciar perdere la cosa. Almeno per il momento».

Intanto sarebbe già pronto o quasi un nuovo album d’inediti, I/O, contenente pezzi scritti negli anni Novanta che avrebbero dovuto far parte del sequel di Up mai arrivato in stampa. Ma Peter, al momento, frena. «Sono molto lento nello scrivere e  quindi se anche avessi delle cose da parte c’è ancora parecchio lavoro da fare, soprattutto a livello di testi. Qualcosa in cantiere comunque c’è e va in direzione completamente diversa rispetto a quest’ultimo album. Comincerò a lavorarci a gennaio».

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