sabato 18 ottobre 2014
Intervista al pianista brasiliano in occasione dei suoi 70 anni. Bambino prodigio a Rio de Janerio, lo choc del "salto" a Vienna, l'amicizia con Martha Argerich. Virtuoso timido, che ama l'ironia
Il pianista brasiliano Nelson Freire

Il pianista brasiliano Nelson Freire

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«La prima volta che suonai il Primo concerto di Chopin dissi all’organizzatore: “Non so se ce la faccio...”. Alle prove con l’orchestra ero nervoso. Quando attaccai il pianoforte rotolò via perché le ruote non erano state fissate bene! Esplodemmo in una risata e capii che sarebbe stato tutto semplice. La serata fu un successo ». È stato spesso descritto come timido e riservato, Nelson Freire. Ma al telefono dalla sua casa a Parigi il pianista brasiliano è loquace e ama scherzare: «In realtà mi è capitato di fare interviste in cui non sentivo... O forse, alla fine, ho imparato a governare la timidezza ». Freire compie oggi 70 anni. Per festeggiarlo Decca ha pubblicato un cd beethoveniano con l’Imperatore, insieme a Riccardo Chailly e la Gewandhaus di Lipsia, e la Sonata opus 111, mentre Radio days contiene registrazioni radiofoniche dal 1968 al 1979: preziose, dato che Freire in quegli anni ha inciso poco, preferendo allo studio la spontaneità della sala da concerto, fatto che l’ha trasformato in un pianista di culto per gli appassionati, ma meno noto al grande pubblico: «Non ho mai ascoltato le mie registrazioni, nemmeno le ultime. Questa volta invece l’ho fatto volentieri, perché sono passati molti anni. Devo dire che le cose fondamentali sono rimaste, sono cambiati i dettagli. Non mi piace pensare che su un pezzo non ci sia più nient’altro da dire. Il giorno in cui mi ritrovassi a considerarlo smetterei subito di suonarlo. Rachmaninov diceva di non voler registrare i suoi concerti per non suggerire che quella fosse la sua interpretazione. Lui stesso li suonava ogni volta in modo diverso».

Freire è stato un bambino prodigio. A tre anni impara a suonare ascoltando la sorella al pianoforte. «L’infanzia è stata per me un periodo bellissimo, anche se non facile. Vivevamo in Minas Gerais, dovevo fare quattro ore di auto per andare a lezione. Anche per questo la mia famiglia si è trasferita a Rio de Janeiro. È stato un sacrificio. Ma Rio era una città bellissima. Lì ho fatto il mio primo concorso internazionale. Avevo 12 anni». Si legge che quel concorso l’abbia anche vinto: «Però non è vero: sono arrivato in finale. C’erano molti pianisti più grandi di me...». Il talento precoce non ha rovinato la sua infanzia: «Sono stato molto fortunato. Ho avuto genitori attenti, hanno fatto in modo che fossi come gli altri: la scuola, la spiaggia... Da loro ho preso la passione per il cinema. Tutt’oggi una delle cose che amo di più è guardare film degli anni ’40 e ’50: li cerco su YouTube! L’unica cosa che non ho potuto fare è stato giocare a pallone...».

A Rio il giovane Nelson studia con Lucia Branco, allieva del belga Arthur De Greef, a sua volta allievo di Liszt. Una genealogia pianistica che Freire sente su di sé: «Da qui mi è arrivata la cultura del suono. Lucia Branco mi ha insegnato a non separare la tecnica dal suono. Che va ottenuto con pochi gesti, solo i movimenti necessari. Bisogna suonare come in souplesse. Quando i pianisti antepongono la bravura alla musica, questa si trasforma in una mitragliata di note. Recentemente ho ascoltato una registrazione di De Greef, e vi ho riconosciuto molti elementi in comune».

Per continuare gli studi nel 1959 Freire atterra a Vienna. È uno choc. «Arrivai quattro giorni prima del mio 15° compleanno. Mi ero perso e non parlavo tedesco... Il compleanno fu la domenica più triste della mia vita. Ero solo, avevo pochi soldi. Entrai in una kaffeehaus e chiesi una piccola fetta di torta. Trovai Vienna difficile. Grigia, triste. Oggi la vedo sotto un’altra luce, ed è una delle mie città preferite». Lì però incontra Martha Argerich, argentina, con cui formerà un formidabile duo pianistico: «Era già famosa, ma anche lei era sola. Forse è stata la comune solitudine, ma tra noi due si è creata subito sintonia, qualcosa di istintivo e musicale. È nata una grande amicizia. All’inizio suonavamo a quattro mani solo per divertimento. Soltanto molto tempo dopo abbiamo cominciato a tenere concerti e registrare dischi».

Radio days contiene anche il Primo concerto di Prokof’ev, un brano che però ha suonato pochissimo. «Del Novecento suono solo musica della prima parte del secolo. Ravel, Bartok, Villa-Lobos, Sostakovic... C’è forse qualcosa della mia personalità. C’è un po’ di nostalgia. Non malinconia, solo nostalgia».


Ritratto di un pianista da giovane, Radio Days offre un notevole spaccato del pianismo di Nelson Freire tra gli esordi della carriera
internazionale e la prima maturità. I due cd editi da Decca contengono registrazioni live con orchestre delle radio tedesche, di Parigi e di Rotterdam, datate dal 1968 al 1979. Dal
Primo concerto di Chopin, con un Freire 23enne, fino a un trascinante Terzo concerto di Rachmaninov passando per Schumann, Liszt, Cajkovskij e Prokof’ev, emerge costantemente presenza volitiva, fraseggio elegante e soprattutto trasparenza e brillantezza anche nelle scritture più dense. C’è invece un che di classicità monumentale nel recentissimo Beethoven della seconda uscita celebrativa dei suoi 70 anni. Nel Quinto concerto “Imperatore”, con Chailly sul podio della Gewandhausorchester, come nell’Opus 111, l’ultima delle 32 sonate beethoveniane, Freire adotta una regolarità di tempi e fraseggio sobria e declamatoria, che esalta la potenza intrinseca delle strutture formali. (A. Bel.)


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