mercoledì 10 settembre 2014
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​L’Esortazione apostolica Evangelii gaudium è il frutto maturo di una riflessione che Papa Francesco porta avanti da molto tempo. Essa esprime in maniera organica la sua visione dell’evangelizzazione e della missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, ma non è un testo che nasce solamente dalla riflessione: la sua radice più profonda è una ricca e ampia esperienza pastorale, un contatto vivo con la gente della quale Jorge Mario Bergoglio è stato pastore come arcivescovo di Buenos Aires. Quando lo intervistavo, a fine agosto 2013, il Pontefice stava limando il testo dell’Evangelii gaudium che ormai era fondamentalmente chiusa. In quei giorni mi disse alcune parole che possono essere molto utili per comprenderne il significato: «C’è sempre in agguato il pericolo di vivere in un laboratorio. La nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica, una fede del tempo superiore allo spazio. Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte. Io temo i laboratori perché nel laboratorio si prendono i problemi e li si portano a casa propria per addomesticarli, per verniciarli, fuori dal loro contesto. Non bisogna portarsi la frontiera a casa, ma vivere in frontiera ed essere audaci». Mi fece alcuni esempi concreti e concluse: «Addomesticare le frontiere significa limitarsi a parlare da una posizione distante, chiudersi nei laboratori. Sono cose utili, ma la riflessione per noi deve sempre partire dall’esperienza». Ecco, l’Evangelii gaudium non è il frutto di un "laboratorio" che addomestica i problemi e i temi, ma il frutto di una riflessione sul campo che è partita dall’esperienza. Persino nello stile ha il gusto della vita. L’Esortazione usa un linguaggio semplice, immediato. Può essere letta senza apparati critici o lunghe spiegazioni: non ha bisogno di ermeneuti per essere compresa. Noi, gesuiti della rivista “La Civiltà Cattolica”, ci siamo dunque sentiti chiamati non a “spiegarne” il testo, ma ad accompagnare i nostri lettori nella esperienza di contatto diretto con il testo. Per questo compito abbiamo chiesto aiuto anche ad alcuni gesuiti argentini nostri collaboratori, i padri Diego Fares, Juan Carlos Scannone e Jorge Seibold – tutti docenti della Facoltà di Filosofia della Universidad del Salvador a San Miguel, Buenos Aires – che ben conoscono da anni l’attuale Pontefice. Il commento, più che "spiegare" il testo, cerca di coglierne le sfide, di mostrarne le radici ma anche le prospettive; di considerarne approcci differenti, soprattutto quello spirituale e quello sociale; di mettere in guardia da fraintendimenti. Insomma, il suo scopo è approfondire e facilitare l’incontro personale con il testo o, viceversa, una sua rilettura di approfondimento. Uno dei commentatori che ha lavorato a questo volume ha usato una bella immagine per dire lo scopo di questo libro, ispirata a un fatto realmente accaduto: è come avere la piantina di piazza San Pietro e scegliere un punto che ci piaccia, come se fosse uno dei luoghi nei quali passerà il Papa che ci farà salire sulla sua “papamobile”. Ciò che, al di là di ogni altra considerazione, deve guidare il lettore è la disponibilità ad avere una visione della Chiesa “in uscita” che partecipi di quello che Bergoglio ha definito «il sogno missionario di arrivare a tutti», che è «capace di trasformare ogni cosa». Il desiderio di conferme e sicurezze non sempre è sano. Anzi, per poter "sognare" come vuole Bergoglio è necessario essere interiormente liberi da questo desiderio. Percepire il brivido della vera libertà dello Spirito rischia di condurre i timorosi a rintanarsi nella tomba, ad avere nostalgia delle bende della morte, che ci irretiscono ma ci danno un senso di comfort, ci danno sicurezza: «Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da se stessi, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come “il più prezioso degli elisir del demonio”» (Evangelii gaudium, 83). A tutto questo fa da contrasto netto l’evangelii gaudium: la gioia della libertà del Vangelo, la libertà dello Spirito. Il Papa, dando questo titolo alla sua prima Esortazione apostolica, ha voluto dunque far comprendere che il Vangelo non può mai essere presentato come se fosse un macigno, un peso. Così pure, che le nostre scelte non devono essere mosse dal desiderio di sicurezza, che ci impedisce, alla fine, il compito fondamentale: conferire al movimento del tempo il suo vero rapporto con il disegno di Dio, leggere il Vangelo alla luce delle sfide dell’oggi.
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