domenica 22 febbraio 2015
Romano Guardini, il teologo della liberazione Lucio Gera, il «Marti­n Fierro»... Il cardinale Kasper spiega le «fonti» culturali di Bergoglio.
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Ogni papa proviene da una specifica tradizione storica e culturale. Francesco è il primo papa che viene da una megalopoli dell’emisfero sud. Queste megalopoli sono difficilmente paragonabili a una delle grandi città europee, non soltanto quanto a grandezza, ma anche quanto a molteplicità di origine e di cultura della loro popolazione. Buenos Aires, dove Jorge Bergoglio è cresciuto e dove poi operò come vescovo, è caratterizzata innanzitutto dalla cultura europea e fu considerata all’inizio del XIX secolo la Parigi dell’America latina. A ciò si aggiunge la cultura tipicamente argentina dei Gauchos, gli abitanti originari, idealizzati nel XIX secolo in senso folcloristico, come pure la cultura dei diversi immigrati, soprattutto italiani. Infine si devono citare le desolanti periferie con i poveri (casas miserias). L’evangelizzazione di queste culture cittadine pluraliste e soprattutto delle loro periferie è stata per l’arcivescovo Jorge Bergoglio una sfida e un compito pressante. Solo su questo sfondo si può comprendere la teologia che ha segnato papa Francesco. Il suo più importante maestro di teologia è stato Lucio Gera (19242012). Quanto l’arcivescovo Bergoglio lo abbia stimato risulta anche solo dal fatto che egli lo fece seppellire nella cripta vescovile della cattedrale di Buenos Aires, per onorarlo come padre della teologia argentina. Lucio Gera prese parte, insieme a Gustavo Gutiérrez, considerato il padre della teologia della liberazione, e con altri, alla conferenza di Petrópolis, convocata nel 1964 dal Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) e ritenuta l’ora di nascita della teologia della liberazione. In questa conferenza Gera ha tenuto una relazione su «Il significato del messaggio cristiano nel contesto di povertà e oppressione ». Questo tema è diventato fondamentale per tutte le forme della teologia della liberazione. In virtù del determinante influsso di Lucio Gera, il tipo argentino di teologia della liberazione ha però imboccato la propria strada, sviluppando uno specifico profilo. Diversamente da altre forme, da noi meglio conosciute, di teologia della liberazione, essa non parte da un’analisi delle condizioni socio-politiche ed economiche né dai contrasti attivi nella società, per poi interpretarli spesso marxisticamente nel senso della teoria della dipendenza. Parte da un’analisi storica della cultura del popolo, unito da un éthos comune. È teologia del popolo e della sua cultura.  Procedendo in questo modo essa non vuole indottrinare la gente, ma porsi in ascolto della saggezza popolare. Perciò alla religiosità del popolo compete un valore elevato. Naturalmente questa teologia del popolo non passa sotto silenzio i contrasti sociali esistenti, ma non è guidata dall’idea della lotta di classe, bensì dal pensiero dell’armonia, della pace e della riconciliazione. In papa Francesco questa esigenza balena di continuo nelle prese di posizione riguardo a situazioni di conflitto, per esempio nella intensa veglia per la pace nel Vicino Oriente il 7 settembre 2013, in piazza San Pietro, allorché egli parlò del mondo come creazione di Dio, come casa dell’armonia e della pace, nella quale ognuno può trovare il suo posto e sentirsi a casa. Questa comprensione del popolo corrisponde allo spirito del romanticismo democratico, che fece il suo ingresso in Argentina alla fine del XIX secolo e sostituì la precedente politica culturale di impronta illuminista europea. Ciò avvenne sotto l’influsso della filosofia del tedesco Karl Christian Friedrich Krause (1781-1832), la cui ricezione nell’ambito linguistico latino portò le idee del romanticismo e dell’idealismo tedesco in Spagna e America Latina. Si parla qui di krausismo. Quest’orientamento si è sedimentato nel poema epico nazionale argentino Martín Fíerro (1872). Papa Francesco vi si riferisce esplicitamente. Il poema descrive il cammino di un gaucho che, dopo un lungo percorso, perviene alla saggezza di un mondo di giustizia e di vita comune, un mondo che permette anche al più piccolo dignità e possibilità di sviluppo. (...) Jorge Mario Bergoglio ha accolto in sé molteplici correnti. Egli, però, non si lascia incasellare in nessuno degli specifici indirizzi di scuola. È uomo dell’incontro e della prassi, contrario a ogni ideologia miope. Per lui il primato della realtà conta più dell’idea. Deve la sua ricca conoscenza della vita non a libri teologici, ma alla grande esperienza pastorale come religioso, provinciale e vescovo, alla cultura sia di segno europeo sia specificamente argentina di Buenos Aires e dei suoi desolanti quartieri della miseria. Inoltre, è per lui importante il mondo dei film, della musica e della letteratura sia classica che moderna. Cita Manzoni, Dostoevskij, Hopkins e altri. Tutte queste sono le fonti da cui papa Francesco attinge e che egli ha elaborato autonomamente nella sua esperienza personale, spirituale e pastorale. Tra Sudamerica ed Europa. Quali sono le «fonti» di Papa Francesco? Teologi, scrittori, anche opere musicali e film. A riconoscerli ci aiuta ora il cardinale Walter Kasper (nella foto), già presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, nel volume in uscita per Queriniana «Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell’amore» (pp. 134, euro 13), dal quale riprendiamo uno stralcio in anteprima in questa pagina. Kasper indaga appunto le «radici teologiche e prospettive pastorali» di Bergoglio in modo sistematico: dalla «parola chiave del pontificato», la misericordia, all’«ecclesiologia del popolo di Dio», alla visione ecumenica e del dialogo interreligioso, all’accento posto sulla sfida della povertà. Interessante l’individuazione delle fonti bergogliane in un misto di cultura latino-americana ma anche europea, per esempio nell’influsso del teologo tedesco Romano Guardini come pure in quello del poema epico nazionale argentino, l’ottocentesco «Martín Fierro».
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