mercoledì 23 settembre 2015
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Berlino, 1989. Il crollo del Muro. "Die Mauer muss weg", scandivano i giovani dimostranti: "Il muro deve sparire”. Uno di loro si chiamava Kai Wiedenhöfer ed era studente al primo anno di università. Appassionato di fotografia, fu catturato da quel soggetto, il Muro abbattuto, catalizzatore di significati storici e politici, ma anche umani e psicologici. Il Muro dello scontro che diventa incontro. Il Muro della separazione che, crollando, dà luogo all'inclusione."Si trattò del fatto politico più elettrizzante e positivo al quale abbia mai assistito in tutta la mia vita", racconta Wiedenhöfer. "A quel tempo la maggior parte delle persone, e anch'io, credeva che quell’evento avrebbe significato la fine dell’uso dei muri come strumento politico, e che questi sarebbero finiti nel mucchio di rifiuti creato dalla storia. Vent’anni più tardi mi fu chiaro che avevo torto". Fotografo di professione, Wiedenhöfer ha fatto dei Muri un leit-motiv della sua carriera. Conoscitore del Medio Oriente e dell'arabo, da berlinese si sentì "scioccato e preoccupato per la costruzione della barriera di separazione nei territori palestinesi occupati". Documentò questo nuovo Muro tra il 2003 e il 2006, nel volume “Wall”.

Israele, Territori Palestinesi Occupati Fu l'inizio di un lungo viaggio, che negli anni lo portò a fotografare barriere divisorie in tutto il mondo. Le sue immagini sono esposte a Lecco fino al 4 ottobre, come manifesti murali, nella mostra a cielo aperto "Con-frontier", nell'ambito del Festival di viaggi e culture "ImmagiMondo" (www.immagimondo.it). Il tema è quanto mai attuale in questo autunno 2015 quando, a un anno dalle celebrazioni per il 25° della caduta del Muro di Berlino, ci sono Stati europei che erigono nuovi Muri per fermare gli "invasori", migranti e profughi in fuga dalle guerre.

Gerusalemme, insediamento Pisgat Ze'ev - Territori Palestinesi Occupati, 2009"Con il lavoro Con-frontiers - spiega l'autore - ho voluto realizzare un progetto completo sui confini sparsi per il mondo, in modo da rendere evidente che muri e recinti non sono la soluzione agli attuali problemi politici ed economici mondiali".

Arizona, Naco - Stati Uniti, 2008 "Mi avvicino a un confine con apprensione. Gli uomini non sono fatti per vivere confinati. Schiviamo i confini o cerchiamo di lasciarceli alle spalle il più velocemente possibile, anche se continuiamo a imbatterci in essi, a vederli, ad avvertirli".

Tijuana, Paseo Costero - Messico, 2008“I confini signifcano tensione, persino paura. 'Io sto qui, tu stai là' – i confini ci collocano in posti determinati, ci segnalano di tenerci alla larga. Mi fanno venire in mente le gioiellerie con le loro vetrine protette elettronicamente, vetrine che ci mostrano allettanti ricchezze, per la maggior parte di noi fuori portata".

Nicosia, Buffer Zone - Cipro, 2010 "I confini creati dall’uomo riguardano le ideologie, l’essere ricchi e l’essere poveri, la religione e la razza. Il loro significato non è solo geografico, è qualcosa che si mette in funzione soprattutto nelle nostre menti. La loro architettura sfigura paesaggi e pensieri. È questo il peggior aspetto di una barriera, la maggior parte delle persone sviluppa una mentalità da difensore del confine: chi è all’esterno è cattivo".

Baghdad, Sadr City - Iraq, 2012"La globalizzazione ci ha promesso una fine, una dissoluzione dei confini. E invece qual è la realtà dei fatti? I lussi della globalizzazione sono ingannevoli: accrescono i mercati, ma anche l’insicurezza a livello mondiale. Mentre il capitale si muove liberamente e in pochi secondi, le persone non fanno altrettanto".

Tijuana, vecchia e nuova barriera sul confine Messico-Stati Uniti, 2007 "Voglio mostrare il conflitto che è intrinseco nei confini. Da una parte agogniamo una vita senza alcuna costrizione... Dall’altro, nella nostra mancanza di costrizioni ci sentiamo persi, e così vogliamo separare, distinguere noi stessi, la nostra cultura, la nostra comunità. Pur ammirando la carità, non siamo pronti a condividere il nostro benessere".

Tijuana, Via de la Joventud Ore - Messico, 2008 "Questo progetto vuole svelarci come individui partecipi, a volte inconsapevoli, ma comunque partecipi. La barriere sono una protezione ma anche una gabbia, sono scudi ma anche trappole".
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