venerdì 14 ottobre 2011
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Una vallata lunga meno di trenta chilometri, tra i 150 e i 600 metri di quota, con appena 15mila abitanti, basta per raccogliere 3 comuni riconosciuti dal Touring Club con la "Bandiera arancione", il marchio più prestigioso di qualità turistico ambientale per i paesi dell’entroterra. E due di essi sono anche classificati tra i «borghi più belli d’Italia». Se a questo si aggiungono la presenza del parco archeologico più vasto delle Marche e di una splendida abbazia cistercenseancora abitata dai monaci e incastonata in una riserva naturale di 1.800 ettari, il successo di un weekend di scoperta è assicurato. Siamo a Sud di Macerata, nella valle del torrente Fiastra, e i trenta chilometri appartengono alla Strada provinciale 78, che congiunge il Maceratese ad Ascoli Piceno.Arrivando in auto, il punto naturale di accesso è l’uscita Macerata Ovest della superstrada (classificata come Ss 77 "della Val di Chienti") che da Civitanova Marche si inoltra verso l’entroterra e l’Umbria. Imboccata la Sp 78 in direzione Ascoli, dopo 4Km si incontra la maestosa abbazia cistercense di Santa Maria di Chiaravalle di Fiastra, dalla quale prende il nome l’omonima riserva naturale che comprende un bosco di 100 ettari, ultimo resto dei querceti che nel passato ricoprivano l’intera fascia collinare delle Marche. Fondata nel 1142 da monaci provenienti dalla Chiaravalle di Milano, l’abbazia è stata nel Medioevo un importantissimo centro spirituale ed economico. Il declino, che culminò con la distruzione nel 1422 della copertura della chiesa e con la dispersione dei monaci a opera del capitano di ventura Braccio da Montone, non si tradusse però in devastazione totale e perdita di memoria. Oggi il complesso monastico si presenta integro, a eccezione del lato Sud del chiostro dove il bel palazzo ottocentesco della famiglia Giustiniani Bandini, fronteggiato da uno splendido giardino di stile inglese, ha preso il posto di biblioteca, refettorio dei monaci e calefactorium. Ma gli altri ambienti tipici dei monasteri cistercensi sono stati salvaguardati: dalla grande chiesa abbaziale (col tetto rifatto a capriate in sostituzione delle volte a crociera distrutte da Braccio da Montone) al refettorio dei conversi, alla Sala del Capitolo, al Cellarium. E l’austero quadrato del presbiterio risuona ancora del canto gregoriano dei "monaci bianchi", ritornati nel 1985, dopo un’assenza di tre secoli, dalla medesima Chiaravalle di Milano da cui provennero i fondatori.Particolarmente suggestiva la Salve Regina intonata al buio, al termine della preghiera di Compieta, quale introduzione al grande silenzio notturno. A meno di 4 chilometri, collegate oltre che dalla strada anche da un sentiero che costeggia il torrente, da percorrere a piedi o in bicicletta, si incontrano le vestigia di Urbs Salvia, città romana il cui destino fu per Dante paradigma del disfacimento del mondo classico: Se tu riguardi Luni e Urbisaglia / Come son ite e come se ne vanno / Di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia / Udir come le schiatte si disfanno / Non ti parrà cosa nova né forte / Poscia che le cittadi termine hanno (Paradiso XVI, 73-78).L’area è salvaguardata da un parco archeologico nel quale risaltano l’anfiteatro, ancor oggi sede di una stagione teatrale classica estiva, il teatro, un tempio con criptoportico affrescato, ampie porzioni di mura, le suggestive cisterne sotterranee dell’acquedotto, fino al Museo archeologico statale che si trova nel centro del borgo di Urbisaglia, ai bordi del quale si erge una rocca medievale.Riprendendo la strada in direzione Sud si può optare per il percorso lungo il crinale, un saliscendi tortuoso ma generoso di scorci incantevoli, che in circa 15 km raggiunge San Ginesio passando attraverso Colmurano, piccolo borgo accogliente e fervido di iniziative, oppure scegliere il percorso vallivo, più scorrevole, anche se costellato da numerosi speed check elettronici che sorvegliano il rispetto dei limiti di velocità. Ma ecco affacciarsi la cinta muraria che protegge San Ginesio, appena oltrepassata la quale si fa avanti l’antico Ospedale dei pellegrini del XIV secolo, raro esempio rimasto integro di domus hospitalis, edificio destinato ad accogliere i pellegrini in transito verso Loreto o verso Roma. Nella piazza principale lo sguardo è catturato dalla splendida facciata della chiesa collegiata, amalgama di romanico e di gotico, la cui trina della parte alta del frontespizio costituisce l’unico esempio di gotico fiorito nelle Marche. Nel raggio di poche centinaia di metri si incontrano la Chiesa di san Francesco (il cui maestoso impianto romano-gotico è tuttora visibile nell’abside, nel magnifico portale e nel ciclo di affreschi giotteschi), la pregevole Pinacoteca e il belvedere che si apre sullo splendido panorama dei monti della Sibilla.Una dozzina di chilometri ed ecco Sarnano, stazione termale e porta d’ingresso per i Sibillini, i «monti azzurri» citati da Leopardi. La salita lungo le vie che conducono alla sommità del borgo risalente al XIII secolo apre a un susseguirsi di scorci deliziosi, che compensano ampiamente lo sforzo dell’inerpicarsi. L’intero borgo è stato realizzato in cotto: dai muri portanti alle coperture a volta, così come pilastri, capitelli, pavimentazione. Giunti alla sommità, ci si trova nella Piazza non a caso chiamata "Alta" sulla quale si affacciano la chiesa di S. Maria di Piazza, il palazzo del Popolo (trasformato nel 1831 in teatro), il palazzo del Podestà, il palazzo dei Priori. Meritano una visita anche le raccolte allestite nell’ex convento delle Clarisse: la Pinacoteca (tra le cui opere spicca la Madonna con Bambino e angeli di Vittore Crivelli), il curioso Museo dei Martelli con circa 500 esemplari provenienti da 40 Paesi e rappresentanti oltre 100 mestieri, il Museo delle armi con circa 500 pezzi e quello dell’Avifauna, con più di 700 esemplari di uccelli.Fino al 6 novembre si può anche visitare la bella mostra su "Vittore Crivelli da Venezia alle Marche", con opere anche di altri pittori e scultori attivi nei centri più interni delle Marche nella seconda metà del XV secolo.
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