martedì 1 novembre 2016
Pubblichiamo un inedito di Pavel Florenskij sul calendario liturgico. Tratto dal volume «La filosofia del culto» in uscita in Italia
Il teologo ortodosso russo padre Pavel Florenskij con la figlia

Il teologo ortodosso russo padre Pavel Florenskij con la figlia

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Dal volume La filosofia del culto, pubblichiamo questa riflessione sul menologio o calendario liturgico. Per l’autore la nostra vita è scandita dal ritmo delle feste: il Natale, il Capodanno, la Pasqua... Contiamo i secoli e gli anni a partire dalla nascita di Cristo. Contiamo i giorni, calcolando quanti ne sono passati dalla domenica e quanti ne mancano alla successiva. «E cos’è questo se non il tempo del culto, il tempo dell’Eucaristia?», si chiede il grande pensatore russo. Certo, altri culti hanno un loro tempo, quello delle proprie azioni cultuali, «ma è pur sempre cultuale». Il calendario infatti è sostanzialmente liturgico. Afferma Florenskij: «Provate a distruggere i tempi del culto e non vi resterà più il calendario, che è un mesjaceslov, cioè un calendario delle feste dei santi, esplicito o sottinteso che sia». Ma la notte e il giorno? E le stagioni? «Se da essi togliete tutto il loro contenuto religioso, vedrete che non rimarrà nulla di cui avere coscienza...». Insomma il tempo esiste perché esiste il culto, si fonda su punti di riferimento liturgici e quando questi si disgregano - secondo le parole di Shakespeare- "il tempo esce dal suo alveo". (M.Ronc.)

Per essere percepito come tale, il tempo deve essere ripartito ritmicamente. Solo allora può essere considerato come un tutt’uno; con un unico atto di attenzione esso viene colto come un intero unico, come ciclo, come compiutezza, come anno liturgico, solo allorché prende forma attraverso una scansione che prima lo seziona e poi torna a riunirlo. In caso contrario, non essendo trattenuta da schemi che scandiscono il tempo, insieme al tempo e senza rendersi conto del proprio movimento scorrerà anche la coscienza. Nel tempo è necessario fissare dei periodi come limiti, confini, prode e picchetti. Tali periodi di scansione del tempo, però, non sarebbero tali, e intendo, cioè, dire che non adempirebbero al compito loro assegnato di essere punti di appoggio della coscienza, se fossero solo dei lassi di tempo, mezzo a essi omogeneo, solo parti di una sostanza fluida. E non essendoci nulla a distinguerli dal mezzo che li circonda, dalla sostanza fluida, non saremmo in grado di fermare su di loro la nostra attenzione.

Se vogliamo orientarci nello spazio è necessario ripartirlo nella sua estensione e porre dei limiti fissi, dei confini, delle prode e dei picchetti. Tali ripartizioni sarebbero però inutili se non avessero, proprio perché tali, delle qualità e dei segni particolari che le distinguano dal resto dell’estensione, ovvero se questi limiti non avessero in sé una peculiarità qualitativa. Soltanto la possibilità di distinguere qualitativamente dei confini che ripartiscono lo spazio permette di percepirli come tali e, pertanto, di percepire anche lo spazio stesso e in esso orientarsi. Lo stesso vale per il tempo: i periodi fissati devono essere qualitativamente peculiari, ciascuno in base alle sue qualità, devono essere, cioè, individualizzati. In caso contrario, se non c’è modo di distinguerli in termini qualitativi dal mezzo temporale e, di conseguenza, di distinguere qualitativamente ciascun periodo dalla massa di tutti gli altri, questi lassi di tempo si confonderanno tra loro e con tutto il mezzo temporale, e prenderanno, per così dire, a scivolare lungo il tempo, a muoversi su e giù in esso e, dunque, non potranno fornire un appoggio al pensiero affinché percepisca il tempo.

Per adempiere degnamente alla propria funzione, ogni periodo deve essere necessariamente unico nel suo genere, assolutamente peculiare, individuale in senso proprio. Tuttavia, a essere assolutamente peculiare, individuale nel senso esatto del termine, è la persona e solo la persona. Per essere individuale e in sé unico, il periodo di tempo, ciascun periodo, deve essere legato a una persona, deve essere fatto coincidere con una persona, deve essere riempito da una persona che lo caratterizzi. Solo la persona può individuare in termini qualitativi un periodo rispetto al tempo e, individuatolo, impedirgli di confluire con tutti gli altri. Solo la persona, riempiendo delle proprie energie questa o quell’altra parte del tempo, lo individua come periodo dandogli modo di acquisire una sua qualità ben definita.


Ma in che cosa consiste l’atto della persona che definisce il suo corrispettivo periodo? Quanto perdura nel tempo, ovvero non scorre con esso, è sovra-temporale.

I periodi che scandiscono il tempo non devono scorrere col tempo, devono restare fissi nella sua corrente pur continuando a essere nel tempo. Devono essere manifestazioni dell’eternità nel tempo, luci del sovra-temporale nel tempo. Perché esista per la coscienza, il tempo deve essere pervaso da un principio sovra-temporale, catturato e avvolto dalla rete dell’eternità che ci permette di restare saldi nel flusso del tempo e, senza esserne trascinati via, di non smettere di percepirne lo scorrere. Reggendoci a questi periodi sovra-temporali fissati nel tempo, anche noi partecipiamo di un’esistenza sovra-temporale.

Affinché ciò avvenga, tuttavia, è necessario che la persona che per proprio tramite individua il periodo sovra-temporale nel tempo si elevi lei stessa al di sopra del suo flusso, abbia già scoperto in sé l’eternità. È a tale persona che spetta la creazione del tempo. E pertanto, per essere creatore di tempo, egli deve attestare l’eternità per esperienza diretta, deve essere testimone vivente dell’eternità a lui accessibile: deve parlare dell’eternità e annunciarcela.

Tuttavia, perché presteremo fede alla sua testimonianza? Perché le sue parole risulteranno convincenti? Perché scorgeremo in lui un riflesso dell’eternità, perché per contatto con l’eternità il suo stesso sembiante verrà trasmutato, perché non solo egli è testimone, ma anche testimonianza viva dell’eternità. Nel mondo e non del mondo, trascendente al mondo, staccato dal mondo e nel mondo risplendente, detto testimone-testimonianza ci consente di pregustare l’eternità anche nella nostra esperienza personale. Egli è il santo.

I periodi di tempo diventano santi per il loro nesso con le persone sante e le manifestazioni dei santi offrono un saldo appoggio alla coscienza nell’essenza fluida del tempo. L’insieme di simili appoggi, coeso e internamente fissato, è rappresentato dalle memorie dei santi o Mesjaceslov. È anche grazie a esso che abbiamo il tempo, autentica "immagine mobile dell’eternità".

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