venerdì 1 aprile 2016
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«Se poesia è vocazione ansiosa, tormentosa a svelare nella parola l’inesprimibile, nessuno è più poeta di Fiore ». Con questa frase Giuseppe Ungaretti accoglieva il libro d’esordio di Elio Fiore, Dialoghi per non morire, uscito nel 1964 con la sua prefazione. Qui il ventinovenne Fiore si rivelava erede della poetica dell’autore di L’Allegria: creare una poesia intensa e limpida, pensandola come un mezzo per esprimere al massimo grado la vita, mettendo a nudo l’anima. Ungaretti non fu il solo a tributare grande stima a Elio Fiore: accanto a lui altri poeti italiani, soprattutto Sibilla Aleramo, e attraverso lei Mario Luzi, e lo spagnolo Rafael Alberti, con i quali il poeta romano intrecciò amicizie gratificanti, che lo sostennero, alle quali a sua volta diede molto. E anche critici intelligenti e illustri, che scrissero presentazioni ai suoi libri nel corso degli anni, tra cui Carlo Bo, che ne esalta la capacità di «vivere della poesia degli altri», misurando il suo tempo sul metro «dell’altrui ispirazione». Ci sono anche loro, presenze protettive e ispiranti, che lo stesso Luzi definisce «i santi del celestiale amico», in questo volume che ne raccoglie l’intera opera poetica, a poco più di ottanta anni dalla nascita (a Roma, nel 1935), grazie alla preziosa curatela di Silvia Cavalli, promettente italianista dell’Università Cattolica di Milano. Dal primo libro prefato da Ungaretti alle poesie per il Natale, All’accendersi della prima stella (1988), al poemetto dedicato a Myriam di Nazareth (1992, prefato da Carlo Maria Martini), esempio raro di poesia religiosa contemporanea, fino a quello che forse è il suo libro più famoso, il poemetto Il cappotto di Montale (1996), in cui afferma che per «lasciare da ardere» ai poeti successivi basterà aver visto «l’azzurra luce di Leopardi». E In purissimo azzurro, da un verso di La ginestra, è il leopardiano titolo di un’altra sua raccolta del 1986. Ma c’è di più: nei capitoli finali dedicati agli 'Inediti e rari', la curatrice offre un contributo inestimabile allo studio di questo autore rimasto un po’ appartato, nonostante la sua potenza visionaria, la sua carica di passione che ne hanno fatto un caso letterario. E nonostante non abbia mai trovato il suo «posto nel mondo»: un buon lavoro intellettuale, che con il suo curriculum di studi stentò a procurarsi. Con la vita, come con la poesia e la fede, Fiore ebbe un dialogo aperto, senza reticenze, da quando nel 1943, a otto anni, rimase sepolto con la madre sotto le macerie di un bombardamento, a Roma. Entrambi si erano salvati: per tutto il tempo, la mamma non aveva smesso di pregare la «Madre d’Iddio», con intensità e semplicità. Nelle lettere agli amici si firmava «Elio, vivo»: lo racconta Alessandro Zaccuri, che gli dedica qui una Prefazione importante, con una dimensione critica e affettiva, entrando con acuta grazia sia nella sua attività poetica, sia nella sua vicenda esistenziale. Questa firma rappresentava il suo «testimoniare di essere risorto»: attraverso la poesia, come appare chiaro a Zaccuri quando, subito dopo la sua morte, nel 2002, la posta continuò a consegnare le buste da lui spedite in precedenza, con le sue poesie e la sua firma così vitale. La sua fedeltà alla poesia continua ancora, coerente con il suo amore per una vita dove «tutto è pietra» e «tutto è luce» e, se non lo fanno gli uomini, «100 miliardi stelle e galassie» possono incoronare un autentico poeta. © RIPRODUZIONE RISERVATA Elio Fiore L’OPERA POETICA Ares. Pagine 724. Euro 20,00 Poesia La fede incrollabile nella luce e nella vita dell’autore romano amato da Ungaretti, Luzi e dal cardinal Martini, ma fuori dai riflettori che illuminavano la scena letteraria del ’900 Il poeta romano Elio Fiore (1935-2002)
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