sabato 13 settembre 2014
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Insieme, si vince. Fiona May, ex fuoriclasse dell’atletica leggera e neo coordinatrice della commissione antirazzismo della Federcalcio, ha le idee chiare. Per estirpare il razzismo dal pallone italiano serve l’impegno di tutti, tifosi compresi. Traguardo possibile? «Sono tosta e convinta che le cose si possano cambiare», il suo manifesto. Che sa di promessa. Ma è soltanto l’inizio. Chi ci crede, non deve fare altro che attendere gli sviluppi. «Il razzismo è un problema di istruzione», ha detto nell’intervento che ha tenuto nel corso della conferenza Uefa su razzismo e integrazione. Intende cominciare a educare i tifosi piccoli per portare sulla retta via quelli grandi? «Certo che sì, ma tutto il mondo del calcio deve essere coinvolto nel processo di cambiamento. Per questo, è necessario trovare i giusti canali di comunicazione con i tifosi, per ottenere la loro collaborazione e il loro sostegno. Il razzismo si sconfigge soltanto se tutti spingiamo nella stessa direzione». Il numero uno dell’Uefa, Michel Platini, ha dichiarato che «il fatto di organizzare una conferenza sul razzismo per la quarta volta è già un fallimento ». Lo crede anche lei? «Sì, perché dimostra che il problema c’è ancora. Tuttavia, spero che presto le parole lascino il posto all’azione. Dobbiamo fare meglio, dobbiamo fare di più». Malgrado quell’uscita grave e infelice, è cambiata la sua idea su Carlo Tavecchio quando ha avuto modo di incontrarlo personalmente? «Non ho mai giudicato Tavecchio, nemmeno quando ho letto le frasi sulle banane che hanno ripreso tutti i giornali con tanta enfasi. Voglio sempre dare una possibilità alle persone che hanno a che fare con me, per farmi un’idea più precisa su di loro soltanto dopo averle conosciute personalmente. Ho fatto lo stesso con il presidente della Federcalcio. Che considero un uomo gradevole, anzi, squisito, che ama il calcio e ha dimostrato con i fatti di essere stato frainteso. C’è rimasto molto male per quanto è successo, non penso meritasse tutte le critiche che ha ricevuto. Sono convinta che lavoreremo bene insieme». Cosa vuole dire a chi è convinto che la sua nomina sia uno “specchietto per le allodole” e nulla più?  Dalla conferenza Uefa il giocatore tedesco di colore, Anthony Baffoe, l’ha sollecitata a “non farsi usare dalla Figc”... «Nessuno lo farà: ho messo subito le cose in chiaro quando ho accettato l’incarico. Detto questo, ho ringraziato personalmente Baffoe per avermi dato un consiglio prezioso e sincero. Le sue parole rappresentano un chiaro segnale di quanto il nostro impegno nella lotta contro il razzismo sia seguito in tutto il mondo. Ciò detto, sono abbastanza tosta per non farmi spaventare dalle difficoltà che incontrerò. Non possiamo fare brutte figure, abbiamo gli occhi addosso di moltissime persone che da anni lavorano in questa direzione. E credo che questo mi permetta di avere una sorta di scudo che mi proteggerà in questo percorso». In Italia, il razzismo è un problema all’ordine del giorno. Fuori e dentro gli stadi. Possibile sradicare un fenomeno che secondo molti fa parte del dna del nostro popolo? «Non è un problema soltanto italiano, interessa tutto il mondo. Lo ripeto da giorni, il razzismo, meglio, la discriminazione verso gli altri in ogni sua forma, nasce dalla paura e dalla scarsa conoscenza di ciò che viviamo. Anche se il colore della pelle è diverso, siamo tutti uguali, così come è uguale il colore del sangue che scorre nelle nostre vene. Il calcio è uno sport popolare, conosciuto e seguito in tutto il mondo da milioni di persone. Può veicolare un messaggio positivo e determinante. Per certi versi, decisivo». Pensa che fuori dei confini nazionali l’ex ministro all’Integrazione Cecile Kyenge avrebbe incontrato meno difficoltà a svolgere il suo lavoro? «Non posso rispondere a questa domanda, perché non mi sono mai occupata di politica e non conosco da vicino le dinamiche che la governano. Ciò detto, conosco la Kyenge e so che sta facendo quanto è nelle sue possibilità per portare avanti le sue idee. È una persona molto intelligente, non può che fare bene». Lei è mai stata vittima di razzismo? «Sì, più di una volta. Soprattutto quando ero giovane, in Inghilterra. Ero l’unica ragazza di colore nella scuola media che frequentavo e ammetto che non è stato facile. C’è stato anche un professore che ha fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote, ma sono riuscita a non abbattermi e a superare il momento grazie al sostegno dei miei genitori. Sia chiaro, io sono stata fortunata. Perché oggi sono un personaggio popolare e chiunque, prima di rivolgermi commenti poco graditi, ci pensa due volte. Come sappiamo, moltissime altre ragazze non possono dire lo stesso». Ha ammesso di non avere una grande conoscenza del calcio. A detta di molti, è uno sport che fa storia a sé, soprattutto sugli spalti... «Il calcio deve cominciare a prendere esempio dal rugby, sport nel quale si lotta dal primo all’ultimo minuto sempre all’insegna del fair play, la base di partenza per sconfiggere la discriminazione negli stadi».
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