sabato 9 maggio 2015
​In gara a Cannes e nelle sale il 14 maggio “Il racconto dei racconti” dalle novelle di Basile. Il regista: «Storie che parlano all’uomo di oggi».
COMMENTA E CONDIVIDI
Un fantasy incosciente con incursioni horror. Così Matteo Garrone, che ha già toccato e mescolato i due generi raccontando orchi contemporanei, corpi che si trasformano, mostruosi camorristi e ipnotici show televisivi (ricordate la principesca carrozza con cui si apriva proprio Reality?), definisce Il racconto dei racconti, il suo nuovo film, una produzione internazionale da 12 milioni di euro, che giovedì prossimo arriverà contemporaneamente nelle nostre sale e sugli schermi del Festival di Cannes, dove concorrerà per la Palma d’Oro. Una commistione tra reale e fantastico, ordinario e straordinario, magico e reale, sublime e volgare, verità e artificio, proprio come le fiabe alle quali il film si ispira,  Lo cunto de li cunti  (o Pentamerone) di Giambattista Basile che tra il 1575 e il 1632 scrisse cinquanta racconti in un ostico dialetto napoletano, tradotto da Benedetto Croce, capaci di influenzare la successiva letteratura fiabesca, a partire dai fratelli Grimm, Charles Perrault e Christian Andersen, che edulcorarono l’orrido e il grottesco dell’originale. Italo Calvino disse che le «fiabe de’pecerille », dei bambini, scritte da Basile erano come «il sogno di un deforme Shakespeare partenopeo». E infatti non è certo ai più piccoli (nel Seicento il concetto di infanzia non esisteva) che si rivolgono le storie di re e regine, principi e principesse, draghi, cortigiani, streghe e saltimbanchi nati dalla fantasia dell’autore napoletano e ora portate sullo schermo da Garrone, che ha selezionato tre racconti – La regina, La pulce e Le due vecchie – chiamando a raccolta un cast stellare composto tra gli altri da Salma Hayek e John C. Reilly, Vincent Cassel e Toby Jones. Ma ci sono anche Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Renato Scarpa.  Incanto e crudeltà si alternano allora nelle storie di tre donne in diverse fasi della vita che rimandano a ossessioni tutte contemporanee. C’è una regina disposta a pagare qualunque prezzo pur di avere un figlio, oggetto poi di una passione esclusiva. C’è una vecchia che si farà scorticare con l’illusione di cambiare pelle e tornare giovane, com’è accaduto a sua sorella, baciata da un sortilegio solo dopo però essersi incollata la pelle cadente in una scena che con quattro secoli di anticipo offre una divertente satira della moderna smania per la chirurgia estetica. E c’è una giovane principessa che sogna il grande amore, ma si ritroverà sposa di un orco, complice un padre sciocco e insensibile che trascorre il suo tempo ad allevare una pulce destinata a diventare un mostro dalle gigantesche proporzioni.  «Nel film si parla di passioni e desideri, le molle che fanno agire i personaggi nelle fiabe, che parlano all’essere umano. Le fiabe sono archetipi, e gli archetipi sono sempre moderni e universali. Così anche la cruda violenza dei racconti di Basile mi sembra di strettissima attualità, basti pensare alle decapitazioni, alle migliaia di morti annegati, alle stragi in famiglia. Quasi un ritorno alla barbarie medioevale».  «Nei miei film precedenti sono partito da fatti reali e li ho trasfigurati fino a spingerli in una dimensione fantastica – continua il regista – questa volta invece ho compiuto il percorso inverso. Ho preso spunto da situazioni fiabesche per poi ricondurle su un piano realistico e concreto. Persino gli effetti speciali, molto artigianali, hanno lo scopo di portare il più possibile il film in un territorio di verosimiglianza, di credibilità fisica ed emotiva. Il mio desiderio di cimentarmi con Basile, un genio assoluto e sconosciuto, capace di mescolare comico e tragico, il popolare con la cultura alta, il grottesco con l’umanità, è frutto di un istinto masochistico, ma mi sentivo tranquillo nel restituire la ricchezza delle immagini del libro, ho una formazione pittorica e pensavo di farcela. Le difficoltà produttive e tecniche però non sono state poche».  Eppure i momenti più affascinanti del film, girato tra splendide location, tutte reali, scovate tra Toscana, Puglia e Sicilia, sono quelli in cui il regista, sulle note di Alexandre Desplat, pensando ai Capricci, la serie di incisioni di Goya, a La maschera del demonio di Mario Bava, al Pinocchio  di Comencini, al Casanova di Fellini, a L’armata Brancaleone di Monicelli, a Pasolini e ai pittore preraffaelliti, ma anche al più recente Trono di spade, dà sfogo alla propria visionarietà, seducendo il pubblico con scene di grande impatto come la passeggiata subacquea del re alla ricerca del drago marino a cui strappare il cuore da dare in pasto alla regina affinché possa concepire un figlio. O come la nuotata sott’acqua del principe albino, nato grazie al cuore del drago, insieme a un misterioso gemello generato però dall’ancella della regina che quel magico cuore ha cucinato. Il film cioè, prende davvero quota quando lascia lo spazio alla meraviglia e allo stupore, mentre perde parte della sua forza emotiva quando si sforza di riportare la magia, lo straordinario e il mostruoso nella vita popolare fisica e sanguigna di uomini e donne in carne ed ossa, ricchi o straccioni che siano.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: