giovedì 11 giugno 2009
Si apre la stagione delle kermesse culturali: come spezzare l’egemonia laicista? Sequeri: «Attrezziamoci per sostenere meglio il confronto»
COMMENTA E CONDIVIDI
Si riapre la stagione dei festival, si riapre l’annosa questione della scarsa presenza di intel­lettuali cattolici in queste rassegne. Una prima scorsa alle bozze dei programmi conferma: la 'compa­gnia di giro' è sempre la stessa, e sempre marcatamente sbilanciata sul versante laicista. «Bisogna vede­re se sono i festival che sdegnano gli intellettuali cattolici – riflette il filo­sofo Sergio Givone – o se sono gli intellettuali cattolici che sdegnano i festival. Ma è la stessa figura dell’in­tellettuale cattolico a essere difficile da definire; un filosofo, per esem­pio, non è né cattolico né non cat­tolico, ma filosofo e basta. Io mi de­finisco cristiano, ma so che il cri­stianesimo comporta, rispetto alla filosofia, un salto, uno scarto – se­condo la lezione di Kierkegaard. Detto questo, la questione di una scarsa presenza dei cattolici ai festi­val resta. Molti li 'sprezzano', e for­se almeno in parte fanno bene: è un giusto tenere a distanza, rimarcare che la filosofia non sia quello che si fa nei festival e che in piazza non si può filosofare. Tuttavia, io che par­tecipo ai festival, in particolare quello filosofico di Modena, li di­fendo, perché nel pubblico vedo u­na vera sete di cultura: vengono, fanno domande, ascoltano». Non gli intellettuali cattolici, però... «Ma c’è anche un problema di scarsità di figure di peso. Quando iniziai i miei studi, era cattolica almeno la metà dei docenti; oggi, nel dipartimento di Filosofia di Firenze, su cinquan­tadue studiosi l’unico dichiarata­mente cristiano sono io... I festival sono lo specchio abbastanza fedele di una tendenza dominante». Che gli organizzatori delle kermesse non solo assecondano, ma favoriscono, più o meno consapevolmente: «Il simile cerca il simile – argomenta Givone – e gli organizzatori privile­giano l’affinità, il sentirsi a proprio agio, piuttosto che il confronto. Il ri­sultato è che ai festival – sia tra gli o­spiti, sia tra gli organizzatori – gli in­tellettuali cattolici latitano. Un pa­norama che mi rattrista, ma d’altra parte in tutta la società italiana con­temporanea la presenza cattolica è debole in ogni settore culturale, a partire dalle pagine dei giornali». Sulla necessità di un maggior impe­gno dei cattolici nell’agorà insiste anche Enzo Bianchi sull’ultimo nu­mero de Il Regno: «Vedere migliaia di persone riunirsi – scrive il priore di Bose – per ascoltare letture pub­bliche, dibattiti e incontri è prezioso stimolo», anche se non mancano ri­serve su queste iniziative, «come se bastasse aggiungere il termine 'fe­stival' per fare di una sagra o di una mostra-mercato un evento di cultu­ra ». Va evitato il rischio di appiattirsi su iniziative nelle quali «come in un supermarket delle idee, i vari 'espo­sitori' metterebbero in mostra la propria mercanzia affinché il clien­te possa scegliere il prodotto a lui più confacente» e cercare invece di farne «un’agorà in cui si tenta di ela­borare un’etica condivisa, un senti­re convergente che legge e progetta il 'bene comune'. Credo che i cri­stiani – sottolinea Bianchi – dovreb­bero saper cogliere l’occasione di rendere ragione con dolcezza e ri­spetto della speranza che li abita ai laici che li interrogano». C’è quindi sì un problema di visibilità, di scelte 'ideologiche' degli organizzatori dei festival, ma si accompagna a qualche limite della stessa classe in­tellettuale cattolica: di presenza complessiva nella società, e anche di assunzione di responsabilità. Da­te per perse le kermesse 'scientifi­che' come Sarazana, appaltate or­mai senza riserve a Odifreddi & C., i cattolici hanno raccolto buoni se­gnali dal festival teologico di Pia­cenza e da quello biblico di Vicenza, in attesa del nuovo Festivalfilosofia di Modena, che da quest’anno po­trà contare tra gli organizzatori di fi­gure come Dario Antiseri e Pieran­gelo Sequeri. Chiarisce il teologo: «Io partecipo, se mi invitano, pro­prio nell’intento di rendere un ser­vizio. Il cristianesimo non ha moti­vo di sottrarsi a un confronto cultu­rale, anzi: però ogni volta sono co­stretto a domandarmi se partecipa­re a un festival, da cattolico, aggiun­ge davvero qualcosa, oppure se in­vece non vuol dire altro che tenere in piedi la macchina di una comu­nicazione che 'consuma' molto ma 'rende' poco, in termini di servizio al pubblico». Anche Sequeri confer­ma che la scarsa attenzione degli organizzatori per il mondo cattolico e l’altrettanto scarso interesse dei cattolici per i festival sono due fat­tori che si sommano: «Da una par­te, tra i cattolici c’è poca consape­volezza dell’importanza di queste manifestazioni – e non del tutto a tor­to: bisognerebbe sfruttarle anche per spiegare ai ragazzi che il vero luogo del dibattito sono le u­niversità. Dall’altra parte, spesso – non sempre, io stesso ho personalmente constatato casi di sincero interesse per il confronto – i temi scelti e la selezione degli ospiti palesano un vizio alla fonte. E non mancano i casi in cui ho dovuto dir di no, perché l’impostazione era to­talmente a tesi». Sequeri non regi­stra una particolare latitanza catto­lica nei circuiti accademici e cultu­rali, quanto piuttosto la tendenza «a entrare solo nei dibattiti stretta­mente attinenti al proprio settore, con poca attitudine a mettersi in gioco e ad attrezzarsi, anche nel lin­guaggio, per raccogliere sfide in campo più aperto». Un limite sul quale punta il dito anche la storica Lucetta Scaraffia: «Troppo spesso gli intellettuali cattolici sono auto­referenziali: vivono in un mondo separato, parlano un linguaggio che con un laicista è del tutto inefficace. Al cattolico la citazione di un’enci­clica dice molto; al suo oppositore non credente, nulla. Bisogna attrez­zarsi, puntare sugli strumenti della ragione, argomentare – per esem­pio – che la vita è un valore in sé an­che al di là della sua comprensione in chiave sacra. Anche la Chiesa do­vrebbe favorire maggiormente il di­battito culturale nel laicato cattoli­co. L’autoreferenzialità offre agli or­ganizzatori di premi e festival il pre­testo per escludere i cattolici: e cer­to non saranno loro a fare lo sforzo di spezzare il circolo, tenendo anzi ben salde le redini della formazione dell’opinione pubblica. Però un po’ di autocritica dobbiamo farla: a vol­te i cattolici non si sentono all’altez­za del contraddittorio, e lasciano perdere. È comprensibile, perché gli altri partono avvantaggiati, possie­dono gli strumenti dialettici e gio­cano sempre in casa, tra un pubbli­co tutto a loro favore. Invece do­vremmo andare a questi festival e mandare in crisi i collaudati stereo­tipi laicisti». Promotori permetten­do, però: «Gli organizzatori tendono a concentrarsi su pochi nomi, so­prattutto sacerdoti, che per indole non sono polemisti e che vengono invitati a parlare soltanto di specifi­che tematiche: la Bibbia, la tradizio­ne religiosa... È un modo per schiacciare i cattolici sul clericali­smo e negare loro lo spazio pubbli­co. Pochissimi gli inviti a intellet­tuali cattolici, e pochissimi gli inviti a parlare di temi 'caldi', dalla bioe­tica al loro punto di vista sul mon­do. I laici preferiscono non dare pa­rola – e quindi legittimazione – a chi potrebbe rivelarsi scomodo per le loro tesi».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: