sabato 30 giugno 2018
Durante il regime furono “scrittori minori” ma pubblicarono romanzi di successo. Numerose le donne, come Willy Dias e Giovanna Gulli. Tra gli uomini, Giuseppe Adami librettista di Puccini
Il duce Benito Mussolini in auto

Il duce Benito Mussolini in auto

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Siamo spesso portati a pensare che durante il ventennio fascista nel panorama letterario nazionale la presenza di autrici femminili fu esigua, minima. Invece furono numerose le donne che scrissero (e pubblicarono), spesso con notevole successo, romanzi e racconti. Certo, oggi queste autrici non sono più ristampate e conosciute. Bartolomeo Di Monaco, attento studioso, già autore di un sentito “omaggio” a Carlo Sgorlon e di un interessante saggio sul Sud nella letteratura italiana, ha ritenuto doveroso ricordarle nel suo Narrativa minore sotto il Fascismo. Una mappa letteraria (pagine 256, euro 20) uscito per l’editore torinese Marcovalerio.

Di Monaco ci fa così scoprire figure affascinanti come la triestina Willy Dias (alias Fortunata Morpurgo Petronio) autrice di “romanzi per signorine” come La piccola ragazza o L’amore più grande. Amica di Kafka, Svevo, Joyce, giornalista e traduttrice fuori dagli schemi, nel 1929 sarà licenziata dal giornale “Il Caffaro” di Genova perché non iscritta al partito fascista. O come Anna Emilia Vivanti, vicina a Giosuè Carducci, sostenitrice di Mussolini e dell’indipendentismo irlandese, colpita da un provvedimento di domicilio coatto, che morirà a Torino dopo essersi convertita al cattolicesimo. Flavia Steno, invece, prima di divenire autrice di successo, era stata corrispondente di guerra e agente della propaganda; mentre Amalia Guglielminetti, nota per il rapporto sentimentale ed epistolare con Guido Gozzano, fu autrice anticonformista, basti ricordare l’effervescente Il pigiama del moralista e il pungente Quando avevo un amante.

Colpisce, tra i profili ricordati da Di Monaco, la figura di Giovanna Gulli morta a soli 28 anni di polmonite e «di stenti, in una città grande e generosa come Milano » (come ricorderà Leonida Repaci) prima che uscisse il suo libro Caterina Marasca. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, i temi trattati non furono solo storie d’amore, anzi, Pina Ballario ne Le case del diavolo, con una spiazzante ambientazione palestinese, racconta di lavoratori sfruttati e di «arabi ed ebrei che nell’abbraccio del mare mescolavano le razze», mentre Olga Visentini, autrice di oltre cento opere, nel 1943, realizza un instant book con La rondine e i prigionieri, sguardo femminile della Seconda guerra mondiale in corso. Quindi, un’immagine lontana dal cliché che voleva le autrici impegnate a raccontare solo romanticherie. E una varietà di temi si ritrova anche nei colleghi maschi. Alberto Albertini, fratello di Luigi (diretto- re del “Corriere della sera”), ambienta il suo romanzo Creso nella seconda metà del sesto secolo avanti Cristo, in Lidia, al confine con la Persia. Il librettista di Giacomo Puccini, Giuseppe Adami nel 1935, per Rizzoli, licenzia un’opera inserita nella Milano scaligera, non a caso, intitolata Fannì ballerina alla Scala. La Firenze del Cinquecento ammorbata dalla peste fa da sfondo a Il diavolo nella cupola di Yambo, autore di racconti per ragazzi e tra i pionieri della fantascienza in Italia.

Nella raccolta di racconti Michelaccio di Antonio Baldini – autore che riceverà il “premio Mussolini” dall’Accademia d’Italia – il protagonista, Michelaccio (appunto), se ne va in giro con un pappagallo e incontra, sull’Appennino tosco-emiliano, il brigante Do- menico Amorotto e il poeta Ludovico Ariosto. Baldini è poi capace di pagine ancora attuali come nel caso di Povero e buono avanzo di galerain cui Metastasio sconta, ingiustamente, ben diciotto anni di prigione. Liberato, si rende conto che qualcosa è cambiato in lui, per sempre. E il tema della detenzione ritorna anche ne Il sogno del vecchio carceriere, in cui, questa volta, si racconta la vita all’interno del penitenziario vista da una guardia che un giorno si ritrova senza reclusi da controllare. Curioso è il racconto Disertore della luna nel quale un tizio riesce ad arrivare alla luna per fare “macchina indietro” perché non ricorda «se aveva chiuso il gas in cucina».

Di Monaco, nel suo saggio, ha deciso di analizzare una sola opera, spesso la più significativa (in alcuni casi anche perché l’unica!), attraverso una “recensione-lettura”, ripercorrendo brevemente anche la vita dell’autore. Nel caso di Franco Brioni, autore del volume Vita di Angela edito da Nerbini nel 1943, però, non si è trovata alcuna informazione biografica. Tanti gli scrittori che avevano vissuto in prima persona la “Grande guerra” come l’inviato Guelfo Civinini, l’ufficiale del comando supremo Angelo Gatti e la medaglia d’oro al valor militare Giani Stuparich (di cui, recentemente, Quodlibet ha ripubblicato Un anno di scuola e Guerra del ’15). Anche Fausto Maria Martini aveva preso parte, volontariamente, al conflitto mondiale riportando un grave trauma cranico, nel suo Verginità parla di superstiti e di caduti, tra cui un suo amico: «a venticinque anni eri stato spezzato in due da una palla di fucile: vivo dalla cintola in su, morto dalla cintola in giù».

Se tanti (la maggior parte) furono gli scrittori accodati al regime come Marcello Gallian (non a caso il suo romanzo Tre generazioni è dedicato «a Galeazzo Ciano, uomo eroico ») e Pitigrilli, al secolo Dino Segre (scrittore di successo e, probabilmente, spia dell’Ovra); non mancarono dissidenti come Tommaso Gallarati Scotti, allievo di Achille Ratti (il futuro papa Pio XI), tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, e Mario Mariani, fuoriuscito in Francia e Brasile, che dedica il suo tagliente Povero Cristo agli «straccioni morali della piccola borghesia italiana, fradici fin ieri di egoismo individuale». Il protagonista Gesualdo Cristofari, un trentaduenne tubercolotico, vorrebbe morire ma non ne ha il coraggio. Vaga ramingo per il mondo «come un cane frustato» trovando rifugio nella scrittura. Insomma, un panorama letterario tutt’altro che omogeneo ed omologato, composto da tanti scrittori e da qualche letterato. Perché come scriveva in un suo romanzo Angelo Frattini: «scrittori si diventa senza deliberato proposito, come si diventa palombari o direttori d’albergo; letterati si nasce, si vive e si muore, come i gobbi».

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