mercoledì 5 novembre 2014
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La piaga della sabbia non affligge più l’Egitto dei Faraoni, ma l’intero pianeta. Inaridisce i campi, riempie i polmoni. Gli uomini «spinti dalla fede incrollabile che la terra sia nostra», come dice l’austero Professor Brad (Michael Caine), non si sono accorti che non è più così. La terra ci respinge, la terra ci uccide. Potrebbe essere l’inizio di uno tanti, entusiasmanti, convenzionali film apocalittici che hanno contrassegnato il cinema americano al giro di boa del Nuovo Millennio, ma Interstellar di Christopher Nolan – da domani finalmente in seicento sale italiane dopo mesi di attesa e dicerie –, scritto a quattro mani con il fratello Jonathan, trascende la visione semplicistica del dualismo inizio-fine della vita e va assai oltre il racconto di fantascienza. Ambizioso, volutamente complesso, intimo nell’esporre ciò che anima le ansie dei personaggi, è anche un grandioso viaggio interstellare che trascende il tempo e lo spazio. La natura ha chiuso i battenti, finito il grano, rimane solo il mais, ma anche quello si sta esaurendo. Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, un tempo pilota e ora agricoltore, ricorda sull’uscio di casa come «un tempo alzavamo lo sguardo al cielo chiedendoci quale fosse il nostro posto nella galassia, ora lo abbassiamo preoccupati e intrappolati nel fango e nella polvere ». Ancora non sa che il suo destino prossimo è tornare lassù per darci almeno l’illusione di un futuro. Una missione lo aspetta, la più inimmaginabile. Scattano le teorie, che Nolan volutamente proietta nei dialoghi tra scienziati asserragliati in una Nasa sotterranea: sono quelle dei viaggi spazio temporali, dei wormho-le, dei buchi neri, del disordine creativo, delle catastrofi e della complessità. Di ciò che potrebbe esistere oltre i confini della galassia, di come arrivarci. È la forza luminosa della ragione, oltre che l’istinto della sopravvivenza: non ci si può arrendere, predomina la nostra intuizione, anche se fragile. Non ci sono, questa volta, monoliti neri all’alba dell’umanità o fluttuanti attorno a Giove, non c’è alcuna intelligenza esterna da cui prende forma un feto nuovo, dunque una nuova umanità. Così Stanley Kubrick nel 1968 aveva immaginato nel suo 2001: Odissea nello spazio, un viaggio oltre le stelle altrettanto epico, che culminava nella messa in questione della razionalità umana incapace di portare progresso e pace se non illuminata da quella aliena, mettendo in discussione contemporaneamente le posizioni creazionistiche e le teorie evolutive, riducendo il ruolo del progresso a un semplice dono seminato non casualmente nella storia da altre forme di intelligenza. Andrej Tarkovskij soltanto tre anni dopo circoscriveva il cosmo a una dimensione morale: in Solaris l’«oceano pensante» di quel pianeta non era nemmeno più una forma “altra” di vita, ma quasi una proiezione stessa della psiche umana. Il viaggio questa volta era una metafora religiosa in cui l’uomo diventava la sintesi, la ragione trovava il suo limite non per una defezione critica o una misteriosa presenza, ma per la forza spirituale sepolta nell’uomo, per la sua ansia di eternità, incastonate in una natura benevola, accogliente. Una fantascienza collegata a un pensiero “pesante” del regista, opposto – si è fatto notare – ai pensieri “liquidi”, globalizzati, omologati.Interstellar si affianca con un debito ideale a questi due importanti progenitori cinematografici, ma esclude un “loro” extraterrestre e riconnette tutto al “noi” di uomini e donne liberi di amare. Sconvolgendo le regole, Nolan mette in bocca la verità del film proprio allo scienziato, una immagine paradisiaca e dantesca, che poi si articolerà in uno spettacolare lieto fine: «L’amore è l’unica cosa che trascende dal tempo e dallo spazio». Un atto di grande fiducia nella nostra capacità di scegliere. Che tutti i protagonisti affrontano nella loro esperienza terrestre o spaziale, ma in cui è la presenza femminile quella che determina la sopravvivenza: Anne Hathaway, biologa associata al viaggio, e Jessica Chastain, Murph adulta divenuta la chiave di volta tra terra e altrove, in un tempo che quasi cessa di esistere. 
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