domenica 2 ottobre 2016
​Tornano in libreria le «Pagine ebraiche» di Arnaldo Momigliano.
Contro le false verità della storia
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Tornano in libreria le Pagine ebraiche di Arnaldo Momigliano, titolo così importante da essere stato adottato per una testata dell’ebraismo italiano. Questo libro “classico”, curato da Silvia Berti nel 1987 per i tipi di Einaudi, viene ora ripubblicato con il marchio delle Edizioni di Storia e Letteratura ( pp. 327, euro 24) che, già custodi dell’“opus” dello storico piemontese, allievo di Gaetano De Sanctis, costretto a emigrare in Inghilterra a causa delle leggi razziali, hanno voluto in catalogo la nota raccolta di saggi apparsi fra il 1931 e il 1986. Il libro – che verrà presentato mercoledì a Cuneo alle 17,30 presso la Biblioteca Davide Cavaglion e giovedì a Torino al Circolo dei lettori alle 21 da Alberto Cavaglion, Silvia Berti e Walter Barberis – raccoglie una serie di testi che, visti insieme, abbozzano una sorta di autoritratto dell’autore che scavava nella storia per scavare dentro se stesso, un’autobiografia intellettuale percettibile tenendo legate le sue riflessioni su vicende, profili, problemi, nodi della cultura ebraica. Dall’articolo giovanile su Flavio Giuseppe a quelli meno lontani sui Libri Sibillini o Moses Finley, dal testo sulle indicazioni preliminari su Apocalisse ed Esodo nella tradizione giudaica al ricordo di Gertrud Bing o di Eduard Fraenkel ed altri, insomma, dai contributi della prima parte del volume, dedicata al rapporto fra ellenismo e giudaismo, sino ai profili dei pensatori ebrei presenti nella seconda parte, è un itinerario singolare a snodarsi in queste pagine. Testi dove la ricerca non si sottrae mai al confronto con studiosi intervenuti prima sugli stessi temi, ma che diventano punto di riferimento per le future generazioni, nell’originale e costante raccordo tra mondo antico e società contemporanea. Testi che investono questioni di filologia e di esegesi, problemi storiografici o di ermeneutica, non però scevri da rimandi personali e ricordi familiari, da riferimenti a una educazione sempre avvertibili: quasi a testimoniare la trasformazione dell’etica assorbita sin dalla formazione adolescenziale – un’etica del giudaismo dalle venature socialiste – nella fiera consapevolezza di appartenere a una grande tradizione (senza rinunciare ad esprimere riconoscenza al paese natale («cristiano- romano-celtico»), Caraglio, in provincia di Cuneo. E non a caso Silvia Berti ha potuto scrivere che Momigliano «crebbe assimilando una religiosità che era soprattutto fedeltà alla tradizione dei padri' e che 'nello stesso tempo precocemente imparava a laicizzarla, e a pensarla storicamente ». Ma la novità recata da questa nuova edizione di Pagine ebraiche (a parte minime modifiche come la recensione giovanile agli Ebrei di Venezia di Cecil Roth precedentemente in appendice e qui nella seconda parte o le osservazioni di Antonio Gramsci al testo ora date in nota) sta nell’inedita intervista che correda il volume e che Silvia Berti fece a Momigliano nel 1987: nei fatti una conversazione fedelmente trascritta, un testo più di parole in libertà che di scrittura… E tuttavia in grado di farci capire perché Momigliano va indicato non solo come uno straordinario antichista, ma, al pari di un Marc Bloch, collocato tra gli artefici del rinnovamento della storiografia novecentesca. La sua tendenza ad ancorare il frammento a problemi di sto- ria e a criteri di verità, non impedisce questa constatazione. Che regge anche al vaglio della mediazione fra ragione e fede, fra diacronia e fondamento, rappresentata in Momigliano proprio dalla storia. Al di là di questo ed altri complessi rovelli teorici, come afferma Berti aprendo la sua intervista «È nella concreta ricerca storica che Momigliano ha esercitato l’antico obbligo di ricordare »: non a caso alla sua domanda sulle questioni poste da specialisti della modernità ebraica e del marranesimo, come quelle di Yosef Haym Yerushalmi sui rapporti fa memoria ebraica, storia, storiografia, la risposta di Momigliano fu: «Il pensiero storico che guarda seriamente a queste cose è una forma di vita religiosa». Da ciò mai è conseguito il fatto che, ai suoi occhi di studioso, il giudaismo trascendesse la storia, o che nello studio della propria tradizione tollerasse un uso confessionale intollerabile altrove. Diverso invece il discorso di una visione idealistico-teleologica della storia come progresso che Momigliano conferma più volte anche a distanza di decenni: «Confesserò subito di essere piuttosto insensibile a ogni asserzione che la storia sacra ponga problemi che non sono quelli della storia profana. Deve essere chiaro una volta per tut- te che i Giudici e gli Atti degli Apostoli, Erodoto e Tacito, sono testi storici che devono essere esaminati per recuperare la verità del passato. Di qui l’interessante conclusione che la nozione di falso ha in storiografia un significato diverso da quello che ha in altre branche della letteratura o dell’ arte», scrive Momigliano aprendo questa sua antologia. «Colui che ha dodici anni sapeva di Spinoza e Renan – conclude Berti – non poteva scrivere altrimenti».
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