martedì 7 giugno 2016
​Parla Gianfelice, il figlio  del grande Giacinto Facchetti. "I cinesi diano uno sguardo al modello Sassuolo". 
Inter, Facchetti: «Ok a Suning, ma serve una regia»
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«Questa è la notte della memoria, e la notte del futuro, del filo che unisce i campioni di ieri, di oggi e di domani...». Così parlò Gianfelice Facchetti alla San Siro nerazzurra, la notte del 9 marzo 2008, quella della festa per il centenario del-l’Inter. Suo padre Giacinto Facchetti, il “Presidente”, se ne è andato dieci anni fa (il 4 settembre 2006) e con la fuga dell’ex patron Erick Thohir si chiude definitivamente anche l’era Moratti. Prova nostalgia per il passato, nel giorno dell’insediamento dei cinesi? «Non particolarmente, perché ormai così va il calcio, il quale è diventato un comparto dello show business e risponde più alle regole dello spettacolo che a quelle dello sport». Come interpreta in questo momento il pensiero del tifoso interista? «Alla maggioranza dei tifosi brillano gli occhi dinanzi a certe cifre stellari che porterebbe il nuovo colosso cinese. La minoranza invece è quella che avrebbe preferito un profilo più basso, magari con un’identità più legata alla città di Milano». E lei con chi si schiera? «Con l’estrema minoranza, cioè con quelli che pensano che era ora di smetterla di giocare a “rischiatutto”, ma che la pancia del tifoso non si sazia sbandierando somme faraoniche, ma piuttosto con i contenuti tecnici e se possibile culturali». Cosa intende per «contenuti culturali»? «Una maggiore attenzione alla storia e la tradizione dell’Inter e quindi anche alla nostra lingua. Negli ultimi tre anni da Thohir non ho sentito rilasciare un’intervista in italiano. Ai nostri tecnici che vanno a lavorare all’estero è richiesta la conoscenza della lingua di quel Paese, penso che anche i cinesi abbiano il dovere di imparare l’italiano per comprendere meglio anche la realtà in cui si sono calati e per non dare l’impressione che non sono qui solo di passaggio». Teme che quelli di Suning possano mordere e fuggire via come ha fatto il magnate indonesiano? «Visti i precedenti un minimo di timore c’è per forza. Per innamorarsi ogni proprietà ha bisogno di vedere dei risultati, ma quelli specie nel calcio arrivano solo se si ha una leadership solida e organizzata». Ha in mente una leadership in particolare? «In Italia direi al gruppo cinese di guardare al modello Sassuolo: lì dal presidente Squinzi all’area tecnica fino allo stadio di proprietà c’è la dimostrazione che si possono realizzare delle bellissime cose e senza necessariamente svenarsi». Della “vecchia” Inter chi consiglierebbe di tenere ai signori di Suning? «Nell’Inter del 2010, quella del “triplete”, c’erano tante figure carismatiche... L’uomo in più? Jorge Valdano. In questo momento non mi pare il caso di mettere in discussione la panchina di Roberto Mancini: conosce la piazza ed ha ancora una buona scorta di riconoscenza da parte dei tifosi per quello che ha fatto in passato». E un Facchetti nell’organigramma non lo vede? «Uno c’è già, mio fratello Luca allena la Primavera». Ha detto che il calcio è uno spettacolo: ma allora per un attore nato e cresciuto nell’Inter come lei che ruolo vedrebbe? «Potrei fare il presidente – sorride – inteso come “regista”, cioè colui che spiega ai cinesi che stanno giocando con le emozioni di milioni di tifosi nerazzurri e devono recitare bene la loro parte. Dovranno essere bravi nella narrazione se vogliono far capire alla gente che le cose stanno cambiando e che la fortuna della società deriverà da questo nuovo spettacolo che intendono allestire, possibilmente assieme a tutti noi appunto che siamo nati e cresciuti con l’Inter nel cuore».
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