Padre Zanotti-Sorkine oggi vive nel santuario di Notre-Dame du Laus, in Alta Provenza, dove confessa e tiene conferenze. Per metà del mese: per l’altra metà è a Parigi, dove scrive libri e compone, non avendo mai abbandonato il suo amore per la musica. Anche a Notre-Dame du Laus c’è sempre una folla di pellegrini e penitenti che lo aspettano. Ama, dice, quel luogo, che come ogni santuario è meta di ritorni, e di conversioni. Ha lasciato Marsiglia, spiega, in accordo col suo vescovo. Lo ha chiesto lui, «sentendo di avere dato in quella parrocchia tutto me stesso», dopo dieci anni di presenza continua, dal primo mattino a mezzanotte, con la chiesa che non bastava a contenere la folla della domenica. Per i suoi libri, e le interviste in tv, è diventato un volto noto in Francia. «Nella Chiesa c’è a volte un po’ di timore per ciò che appare incentrato su una sola persona», dice. Lo incontro nuovamente a Parigi, il giorno dopo la strage di Charlie Hebdo. Dal caffè di Montparnasse in cui sediamo si sentono spesso le sirene delle auto della polizia che percorrono la città. «È stato un atto di barbarie – dice Zanotti-Sorkine – un atroce atto di guerra. Ciò che mi colpisce però è come in queste ore tutti, da Obama in giù, difendano la libertà di stampa come un idolo. Certo, ognuno deve essere libero di esprimersi. Però nei rapporti umani, normalmente, facciamo attenzione a non provocare il prossimo. La libertà d’espressione non è illimitata. Un limite esiste, ed è previsto anche dalla legge civile: chi offende o calunnia ha diritto a un risarcimento. Sulla fede cristiana, Charlie Hebdo pubblicava delle vignette terribili. Erano abituati con noi, che non reagiamo. È come se a Charlie Hebdo credessero che fosse ancora il ’68, mentre siamo nel 2015, e l’islam che si allarga in Occidente è tutto un altro mondo. Credo che sia stato un errore ristampare quelle vignette in milioni di copie. Ciò che occorre per vivere insieme è invece rispetto reciproco. Ma penso che, passata questa frenesia di rivendicazione di una libertà di stampa assoluta, la tragedia di ieri ci porterà a considerazioni più meditate».Ma il fondamentalismo islamico non la preoccupa? Lei, a Marsiglia ha conosciuto il mondo islamico da vicino…«Il fondamentalismo islamico in Francia esiste. Anche perché qui i musulmani non sono mai stati integrati; ancora oggi un ragazzo musulmano non è un francese, è un islamico. Li abbiamo mandati nei quartieri ghetto, confinati in un mondo a parte…».Non le fa paura lo scenario immaginato da Michel Houellebecq in «Soumission», di una Francia islamizzata, in fondo, pacificamente, perché della libertà, nella patria dei Lumi, non si sa più che farsene?«Bisognerà vedere l’evolversi degli equilibri demografici. Le urne parleranno. Già ora ci sono sindaci musulmani. Dobbiamo accettarlo. Gli assassini di ieri, del resto, sono cittadini francesi. Paura? No – sorride – io ho paura solo dei cattivi cattolici, di un certo spirito burocratico che governa parte della Chiesa, e della nostra ristrettezza di prospettive».
È questo «spirito di sistema» ciò di cui si duole Zanotti-Sorkine nelle sue funzioni di parroco: quella dei battesimi, soprattutto, è una questione che gli è molto cara. A Marsiglia ha battezzato in questi anni mille persone. Ma, dice, il percorso che la Chiesa chiede a chi domanda il Battesimo è troppo rigido: «Due, o perfino tre anni di catechesi, a prescindere da quale sia la situazione culturale, sociale e familiare della persona che si presenta… In quanti ne ho visti scoraggiarsi, e desistere. Così fabbrichiamo una schiera di delusi. La porta della Chiesa è appena socchiusa, mentre il cuore di Cristo è apertissimo. Facciamo apparire il Battesimo una ricompensa, mentre è un dono. Occorre semplificare le procedure, per non spegnere la piccola fiamma della fede. Occorre spalancare le braccia. San Paolo, del resto, non è stato battezzato in tre giorni? E l’eunuco del Vangelo, in appena dieci minuti… Vorrei mandare una supplica, riguardante la preparazione al Battesimo, a papa Francesco. Che mi era già caro prima di diventare papa, perché avevo letto di lui che, quanto all’amministrazione del Battesimo, già a Buenos Aires non era rigido come lo prevedono molte diocesi. Anche per questo è stata una grandissima gioia, per me, l’elezione di Bergoglio».Chissà però se a Francesco piacerebbe la sua talare…«Ho sentito dire che non è favorevole. Ma il Papa viene dal Sud America, e non ha vissuto la secolarizzazione che ha investito la Francia in questi decenni. Nelle nostre strade, nulla richiama alla fede. Certo, abbiamo delle antiche meravigliose chiese, ma per strada non si vede un prete, o una suora. L’anacronismo della talare porta almeno i passanti a riflettere, sia pure per un secondo, sulla fede. Per la veste che porto io non mi sento integralista, ma piuttosto anacronico, contro la corrente del tempo».A Marsiglia lei dava la Comunione alle prostitute, e questo scandalizzava i benpensanti. Come vede il dibattito riguardante l’Eucarestia ai divorziati?«La vedo positivamente. Non si può partire soltanto dai principi, ma invece dalla persona, da ciascuna persona. Che cosa diremmo a un uomo che ha un solo braccio? Gli elencheremmo ciò di cui non è capace, o gli prospetteremmo ciò che, ugualmente, di bello può fare? E quanto all’omosessualità: anche queste persone sono un dono. Non abbiamo il diritto di escluderle, ma dobbiamo dare a ognuno la possibilità di amare. Ogni cosa poi, naturalmente, va salvata nella discrezione e nel pudore. Per questo sono contrario alla legalizzazione delle nozze gay. Trovo che l’aggressività del movimento gay sia controproducente, e generi nell’opinione pubblica un rigetto che può sfociare in omofobia».La misericordia, dunque, è per lei la prima caratteristica del cristianesimo.«Andrei ancora più lontano. Nel cristianesimo per me il luogo del discernimento non è fra peccato e non peccato, ma fra amore e assenza di amore. Se c’è dell’amore in un atto, io credo che Dio sia presente. Vede - prosegue, e ancora, di sottofondo, le sirene di una Parigi sconvolta - in questi giorni sto incidendo un disco di canzoni mie, un grosso lavoro, e dunque frequento musicisti e artisti. Fra queste persone mi accorgo che non sono "contro" il cristianesimo, ma che non hanno mai incontrato nessuno che parlasse loro di Cristo: è il deserto, la tabula rasa. E la Chiesa, la percepiscono come qualcuno che ti vuol dire come vivere, che fa del moralismo – o della "moralina", come diceva Gide –. Ciò che chiedono è invece una Chiesa mistica, che risponda alla richiesta di vita eterna. Io credo che la gente non sbagli a sentire ancora del moralismo in noi. Non possiamo essere un’internazionale dell’etica. Non è il nostro scopo, il nostro scopo invece è donare la fede. La prima nostra responsabilità è far scoprire Cristo, non di fargli portare avanti le nostre idee. Manchiamo di fede in Cristo vivo, che opera. Dovremmo fidarci di più, di lui».