mercoledì 17 maggio 2017
Dopo la Brexit, gli stati dell'Ue mettono sotto accusa l'inglese. Ma è un dibattito fuorviante. Piuttosto riscopriamo i valori comuni custoditi da chiese e cattedrali in tutto il Vecchio Continente.
Europa, la vera lingua comune è fatta di pietra
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Un nuovo spettro si aggira per l'Europa: rottamare l'inglese. Dopo la Brexit, la scelta del Regno Unito di lasciare l'Unione europea, gli altri paesi membri ci stanno seriamente pensando. Un dibattito che ridesta l'orgoglio linguistico patriottico e che potrebbe anche scivolare sul bieco nazionalismo. La discussione rischia di diventare surreale e fuorviante. Tanto più che l'inglese non è mai stata la lingua "eletta" dell'Ue che ha da sempre avuto 24 lingue ufficiali e per quanto riguarda le comunicazioni comuni ha sempre affiancato all'idioma dei sudditi di Sua Maestà anche il tedesco e il francese. Perfino gli altri due Stati che parlano inglese, Irlanda e Malta, gli hanno preferito a livello ufficiale le lingue autoctone come il gaelico e il maltese. Pensare però di proporre ora, ex novo, come lingua comune artificiale, l' "europeese" o una forma "imbastardita" di english attingendo alle vulgate quotidiane nazionali, è un'esperienza che ricorda quella fallimentare dell'esperanto.

Piaccia o no, senza inglese oggi non si va da nessuna parte. E i figli della generazione Erasmus lo sanno benissimo. Anche su scala mondiale. Pensiamo soltanto all'influenza non solo sull'economia ma sulle forme culturali (come il cinema o lo sport) di un paese anglofono come gli Stati Uniti. Allora perché non approfittare di questo dibattito per ridare la giusta importanza a una lingua storica e transazionale come il latino (che ha perso "appeal" anche in ambito ecclesiale)? Non per proporla come lingua comune, ma come patrimonio linguistico identitario. Per aver generato spagnolo, portoghese, francese, italiano, romeno... è anche tra le "lingue" più parlate al mondo, se non la prima. Pure l'inglese ha un lessico che deriva per lo più dal latino o da lingue neolatine. E perché non inserire stabilmente in tutti i percorsi scolastici una doppia lingua?

Non risolveremmo il problema di una lingua comune, ma usciremmo fuori da un dibattito ozioso di cui non ha bisogno questa Unione sgangherata e senz'anima che miete sempre più euroscettici. Anche perché un "linguaggio" comune l'Europa ce l'ha già. Ed è quello scolpito nella pietra di chiese, cattedrali e abbazie diffuse in tutti i Paesi del Vecchio Continente. Non solo perché rappresentano un patrimonio di autentica bellezza, ma perché da due millenni custodiscono quegli ideali profondi che hanno permesso all'Europa di essere un faro di civiltà.

Come ha fatto notare il sociologo Rodney Stark: «Gli aspetti migliori della società occidentale - democrazia, commercio, progresso scientifico - provengono dal cristianesimo». Se l'Occidente ha dato vita alla scienza, alle arti figurative, alle università, agli ospedali... è in virtù di una fede e una fiducia nella ragione senza eguali. Continuare a non riconoscere queste radici culturali e storiche vuol dire rimanere impantanati in questa irrisolvibile babele linguistica.

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