sabato 7 marzo 2015
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Le previsioni economiche per l’Europa non sono ancora del tutto incoraggianti. Visto dall’altra parte dell’Atlantico, dove la grande recessione è stata in gran parte superata, il Vecchio continente assomiglia sempre più a un’anziana signora che è scivolata e fatica a rialzarsi. In realtà la visione che viene in mente ad Arthur Brooks, presidente del think tank di Washington American Enterprise Institute, quando pensa all’Europa non è quella di una nonnina indifesa che tende la mano, quanto quella di una vecchietta acida che agita il bastone e urla ai bambini dei vicini di non calpestarle le aiuole. Un’immagine colorita, ma poco lusinghiera…«Ma è un’analogia non del tutto dissimile da quella sollevata in qualche modo anche da papa Francesco nel suo discorso al Parlamento europeo lo scorso novembre, che mi ha molto colpito. Il Papa paragonava l’Europa a una donna anziana non più fertile, non più vitale. E lo stesso pontefice durante un discorso precedente aveva detto che l’Europa è vecchia, sempre più stanca e disorientata. Sono parole forti, ma fondate». Perché? «Oggi un europeo su cinque ha più di 65 anni. Nel 2030, gli anziani saranno uno su quattro. Sarà una situazione insostenibile, sia finanziariamente, per il peso del costo delle pensioni e della sanità, sia per la pressione politica che un elettorato anziano porrà sulla classe dirigente, incoraggiando politiche a favore dei pensionati e non investimenti che creino opportunità per le generazioni future. Poi guardiamo al tasso di fertilità. Da più di quarant’anni l’Europa non genera abbastanza bambini per compensare il numero dei decessi. Nel 2014 il numero medio di bambini per donna era di 1,6. In molti Paesi è anche meno. Presto avremo un continente dove nessuno ha più fratelli o sorelle». Di che cosa ha bisogno l’Europa, allora, per ritrovare la sua vitalità?«Di certo di una sana economia fiscale che faccia ripartire gli investimenti e metta fine a un’eccessiva austerità. Quella è necessaria. Ma non basterà a far risollevare il continente dal vortice del declino nel quale è caduto. A mio parere servono politiche che mettano in primo piano la famiglia e soprattutto una cultura che metta al centro la famiglia. Il problema principale dell’Europa non è economico ma demografico». Ci sono Paesi che si stanno muovendo nella direzione giusta?«La Francia continua a essere un’eccezione. Grazie a un sistema di assegni familiari, il tasso di natalità è salito a esattamente due bambini per donna. È incoraggiante, ma è presto per dire se indica un cambio di cultura o solo di una risposta a un incentivo economico che incoraggia la riproduzione». Qualcuno potrebbe risponderle che con il poco lavoro che c’è, le famiglie non hanno il coraggio di mettere al mondo dei figli...«Ma il problema non è solo la mancanza di lavoro, quanto una società talmente sbilanciata verso chi il lavoro lo ha già, o verso i pensionati, che non crea opportunità, e demoralizza chi potrebbe creare lavoro. Le statistiche più scoraggianti a mio avviso in Europa non sono quelle che contano i disoccupati, ma quelle che rivelano la riduzione della partecipazione alla forza lavoro, vale a dire il numero di adulti che hanno un impiego o che ne stanno attivamente cercando uno. Stando alla Banca mondiale in Europa solo il 57 per cento degli adulti (e solo degli adulti si badi) è in quelle condizioni. In Italia è il 49 per cento. Vuol dire che più di metà degli adulti non fa nulla. Ha perso speranza». Quali politiche consiglia? «Bisogna costruire una società che aiuti le famiglie, i giovani. In America la rete del welfare è molto più esile che in Europa, ma il fisco fa molti sconti alle coppie sposate e a quelle con figli, e gli imprenditori hanno legami con le università, sono aperti alle nuove idee. L’Europa ha bisogno di leader e di un movimento sociale che riscopra che la gente, soprattutto la famiglia e i giovani, sono un bene su cui investire, non dei costi da contenere». Anche gli immigrati?«Sicuramente all’Europa servono anche politiche che favoriscano un’immigrazione responsabile. La popolazione immigrata è più giovane, in media di otto anni rispetto agli europei, e può svecchiare l’Europa. In Europa la percentuale di popolazione nata all’estero è circa la metà di quella degli Stati Uniti, eppure il sentimento generale è di ostilità verso i migranti».Che cosa può importare all’America tutto ciò?«Beh, l’Europa è un mercato importante per gli Stati Uniti, e un suo declino può ridurre drasticamente la crescita economica americana. Questo dal punto di vista pratico. Ma ancora più importante è il punto di vista culturale. L’Europa può fare molto, se non si chiude su sé stessa e sui suoi problemi, per diffondere i valori della democrazia e della libertà nel mondo».
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