venerdì 19 dicembre 2008
«La matematica non è solo formalismo, vi sono casi dove conta anche il significato e non solo il calcolo». A colloquio con Giandomenico Boffi.
COMMENTA E CONDIVIDI
ll matematico credente non solo non è un personaggio raro ed eccentrico, ma appa­re più che mai in sintonia con il nuovo ap­proccio con il quale viene accolta dalla cultura la scienza di Pitagora e di Fermat. «Proprio ora si scopre (anzi: si riscopre) che la matematica è legata alle intime corde dell’essere umano. In altre parole, è fortemente intrecciata con le do­mande più profonde che ci poniamo» osserva Giandomenico Boffi, ordinario di Algebra al­l’Università di Chieti-Pescara. Professore, Richard Dawkins, biologo evoluti­vo nonché membro della Royal Society, che insegna comunicazione scientifica a Oxford, arriva quasi ad affermare che, prima di esse­re ammessi a una facoltà di scienze, si debba sostenere l’esame di ateismo. «L’idea che lo scienziato, e in particolare il ma­tematico, debba essere ateo non solo viene smentita dai fatti, ma è metodologicamente scorretta. Matematica e teologia sono campi fra i quali vedo utile un confronto, non un’in­terferenza. Dire – come fanno alcuni – che il credente è inadatto agli studi scientifici, e a quelli matematici in particolare, credo sia co­me dire che la Bibbia può confermare la cor­rettezza di un certo teorema. Una bestialità, perché le affermazioni bibliche da un lato e i teoremi matematici dall’altro sono – da un pun­to di vista epistemologico – non confrontabili fra loro». Lei parla di una evoluzione della matematica, che viene incontro agli interrogativi di fondo dell’uomo. Di che cosa si tratta? «Più che la considerevole evoluzione interna della matematica, che è un fatto specialistico, credo che ciò che colpisce maggiormente sia un certo modo nuovo di concepire questa di­sciplina, che ne mette in luce un valore più u­manistico. La matematica è stata spesso cir­condata da un’aura di mistero. Ha spesso avu­to la proprietà di incutere soggezione, soprat­tutto in chi non la conosce e non la pratica. Si è spesso imposta un’idea della matematica co­me mero calcolo logico-formale, delegabile (al limite) a una macchina sofisticata, capace di 'sputar fuori' tutti i teoremi». Da che cosa nasceva questa idea della matematica? «All’inizio del Novecento, penso si alimentas­se del disagio per alcuni problemi relativi ai fon­damenti della matematica. Perciò si cercava di porla su basi molto solide, riducendola a cal­colo formale. Ma poi, nel corso del XX secolo, l’idea è stata ridimensionata, soprattutto dopo il lavoro di Kurt Gödel. Come sostiene Roger Penrose in un suo libro famoso, la matemati­ca non può essere ridotta soltanto a calcolo formale perché ci sono affermazioni matema­tiche che riteniamo vere non in virtù del loro legame sintattico con il sistema assiomatico, ma in virtù del loro significato. Insomma, dob­biamo capire meglio che cos’è questa mate­matica, che viene elaborata da millenni e a va­rie latitudini da homo sapiens sapiens, ma che non sembra avere la capacità di autofondarsi, di autocostituirsi. Le nostre conoscenze mate­matiche, pur altamente validate, sono in qual­che modo provvisorie, come tutte le cono­scenze umane, del resto». Ma allora la matematica è in evoluzione o è in crisi? «Oggi la maniera di dimostrare i teoremi di Eu­clide è più sofisticata. Le dimostrazioni date da lui non sono più ritenute del tutto soddisfa­centi secondo i nostri canoni. Tuttavia i suoi teoremi continuano a essere considerati cor­retti. E non è un caso isolato. Negli ultimi 2500 anni, la matematica, pur accrescendo enor­memente i propri contenuti, ha mostrato una considerevole stabilità. Ma questa stabilità è stata assicurata da una comunità matematica capace di fronteggiare con fantasia sfide nuo­ve (magari provenienti da esigenze scientifi­che, tecniche e sociali), di rileggere con occhi nuovi le cognizioni acquisite, e anche di porre rimedio a imprecisioni ed errori del passato. Non si toglie nulla agli altissimi livelli di rigore della matematica, se si ammette che le sue ac­quisizioni sono storicamente connotate. Anzi le si restituisce uno spessore umanistico, che in­vece talvolta sembra riconosciuto solo ad altre discipline. Per esempio alle scienze sociali». E quale rapporto possono avere con la mate­matica? «Le scienze sociali non hanno certo il canone di rigore della matematica, ma si occupano di dimensioni dell’esperienza umana di cui la ma­tematica non può farsi carico se non molto par­zialmente. Credo sia opportuno inserire la ma­tematica nell’orchestra di tutte le discipline, per operare una sintesi che mostri attenzione alle fondamentali domande su che cosa è l’uomo. E qui - detto per inciso - c’è anche spazio per la teologia, perché anche in base all’idea di Dio che uno ha (o non ha), ci si forma un’idea del­l’uomo e del cosmo, e viceversa». Un esempio concreto di questa sintesi? «Prendiamo la meccanica quantistica. E’ un approccio fortemente matematizzato al mi­crocosmo, che sta benissimo all’interno della fisica e di per sé non ha bisogno di confrontar­si con la filosofia o con la teologia. Tuttavia la meccanica quantistica è una teoria molto ric­ca e interessante, emersa nel corso del XX se­colo, e sarebbe un peccato se la società con­temporanea non ne percepisse le sfide più pro­priamente culturali. La meccanica quantistica è stata fortemente innovativa; può forse sug­gerire – al nostro modo di concepire la mate­ria, l’uomo e Dio – qualcosa di diverso da ciò che suggeriva la fisica classica». È la dimensione sapienziale che rompe il ghiac­cio e può spingere il matematico verso la fede? «Ritengo che ogni studioso possa e debba in­quadrare in un contesto più ampio le cono­scenze e la sensibilità che acquisisce attraver­so la propria disciplina, quindi anche attraver­so la matematica. La fede può aiutare a non trascurare questa opportunità. Di fatto si sono avuti tanti matematici che non facevano mi­stero della propria fede, tanto da affermare (co­me Ennio De Giorgi al Congresso Internazio­nale dei Matematici, a Varsavia nel 1983), che la sete di conoscenza dell’uomo è 'il segno di un desiderio segreto di vedere qualche raggio della gloria di Dio'. Poi, certo, ci sono i mate­matici che credono, ma riescono meno bene ad armonizzare la loro attività intellettuale con la fede. E’ la separazione tra fede e vita che af­fligge anche tanti non matematici. E che pro­babilmente dipende dal fatto di non 'pensare' la propria fede in modo adeguato, ma di viver­la prevalentemente a livello emotivo e senti­mentale ».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: