sabato 14 marzo 2020
Arrivano in italiano gli aforismi del pensatore russo: «La gente comune, che vive inconsapevole senza mai fare bilanci delle sue spese e dei suoi ricavi spirituali, considera i filosofi come contabili
Šestov: «La vita non si vive facendo calcoli»

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“Ci sono istanti in cui, a un tratto, la nostra condizione ci si rivela in tutta la sua stridente incongruenza, in tutta la sua barbara oltranza, costringendoci a guardare in noi stessi. E allora la terra ci scivola via da sotto i piedi ma non per molto. Perché il terrore per questo senso di sradicamento rimette subito in sella l’essere umano. Scordiamoci di tutto, l’importante è tornare alla terra natia” ammonisce Lev Šestov (1866-1938) in Sradicamento. Aforismi (pp. 266, euro 23), in libreria per Morcelliana in questi giorni complicati e di cui pubblichiamo qui sopra un estratto. Tradotti per la prima volta in italiano da Dario Borso e Valentina Parisi, autori anche delle perspicue pre- e postfazione, gli aforismi confluiti nel volume provengono da quattro raccolte apparse in Russia tra il 1905 e il 1910. Allora la Terra degli zar si accingeva a battere una lunga strada di tumulti e scioperi, e i folgoranti testi di Šestov suonano in sintonia col quel clima politico. Alla loro uscita scatenano altrettanti disordini nel milieu culturale. Nikolaj Berdjaev e Andrej Belyi, tra molti altri, lanciano strali contro il filosofo di Kiev, già noto al tempo per i saggi dedicati a Dostoevskij, Tolstoj, Nietzsche e Shakespeare. Al cuore della polemica sta la scelta di innalzare l’aforisma a espressione adeguata del pensiero. Se la vita sfugge alla totalità e il frammento si sottrae alla possibilità di incastonarsi in un ordine razionalmente organizzato, allora anche il pensiero deve fugare la tentazione di farsi sistema rinchiudendosi in astrazioni. “Per chi ha sperimentato le leggi di natura - fustiga Šestov - la morale passa temporaneamente o eternamente in secondo piano”. E come la morale ogni tentativo di razionalizzare la vita. “Ogni ‘visione del mondo’ filosofica - continua il filosofo - tende in un modo o nell’altro a dirigere la nostra vita, partendo da questa o quella soluzione del problema generale dell’esistenza umana. Ma non abbiamo né forze, né dati sufficienti a risolvere il problema, sicché tutte le nostre deduzioni morali saranno più o meno arbitrarie e testimonieranno solo i nostri pregiudizi”. Pertanto le costruzioni intellettuali non vanno tanto scardinate. A esse va riconosciuta l’intima infondatezza. Il filosofo che lo ignora si riduce a “feudatario dello spirito”, a “contabile” che trasforma la sua attività a semplice “computisteria” perché il suo ordine “esiste solo nelle aule scolastiche”. Per mettersi alla cerca della libertà, occorre ben altro. La terra stabile va scossa. Bisogna sradicarsi sa se stessi e dalle proprie convinzioni “per smettere di credere agli assiomi del sapere scientifico come a verità che non hanno bisogno di dimostrazioni”. Solo rompendo con le menzogne intellettuali che irretiscono il mondo ma danno l’impressione di stabilità e di dominio sulla realtà, all’uomo si offre la possibilità di riempire i polmoni di libertà. Come il bruco che frange la crisalide, focolare di tepore e serenità, anche all’uomo spetta la responsabilità di mandare in frantumi la coltre di astrattezza intellettuale che lo ammanta. Solo così, come “al bruco, spunteranno le ali - scrive Šestov - , e quando avrà forato il vecchio involucro, volerà liberamente per il mondo, farfalla splendida e leggera”. (Simone Paliaga)

Socrate e Platone si impegnarono a scoprire sotto le apparenze perpetuamente cangianti una sostanza stabile, immutabile. Nelle “idee” platoniche s’incarnò proprio tale ricerca. Il mondo visibile, che non è mai uguale a se stesso e può assumere le forme più diverse, non è la realtà vera. Ciò che è reale deve essere permanente. Per questo le idee degli oggetti sono reali, mentre sono fittizi gli oggetti stessi. Così dunque, la visione del mondo di Platone deriva da un vizio costitutivo del pensiero umano, da un vizio elevato al rango di virtù suprema. Il filosofo fatica a seguire la vita mobile e capricciosa, quindi decreta che non è vita, ma mera finzione. La dialettica esercita il suo dominio solo sulle idee generali, e allora queste sono promosse a ideale. A partire da Socrate e Platone, hanno goduto di maggior successo proprio quei filosofi che insegnarono alla gente a prediligere l’immutabile, il sempre uguale a se stesso, rispetto a ciò che cambia e passa. La gente comune, che vive inconsapevole ossia non fa mai un bilancio delle sue spese e dei suoi ricavi spirituali, considera sempre i filosofi alla stregua di contabili volontari. Già la gioventù ateniese seguiva con ammirato interesse la bravura con cui Socrate grazie alla sua dialettica trovava le “ragioni ultime”, da lungo tempo generalmente obliate, delle azioni umane.

Si sa che in computisteria si deve rendere conto sino all’ultimo copeco, e Socrate corrispose pienamente alle speranze in lui riposte: il pareggio tra attivo e passivo dell’uomo gli riuscì perfetto. Forse qui sta il segreto del fatto a prima vista strano che una natura disordinata e squilibrata come Alcibiade si sia attaccata appassionatamente a Socrate. Alcibiade aveva perso già da tempo il conto esatto delle sue fortune; era dunque costretto a interpellare ogni tanto Socrate, il quale con i suoi discorsi e i suoi ragionamenti introduceva un certo ordine e armonia nel caos spirituale del giovane amico: da Socrate, Alcibiade si riposava. Naturalmente si riposava per poter poi ricominciare la sua esistenza tumultuosa: è così dolce il riposo per un uomo sfinito! Ma c’è forse cosa più assurda del dedurne che il riposo sia necessario a tutti, e anzi lo sia sempre? È immaginabile qualcosa di più assurdo? Orbene, Socrate intendeva proprio così le sue idee. Voleva che la gente riposasse sempre e nel riposo vedesse il fine supremo dell’esistenza. Per noi adesso è più facile giudicare Socrate, in quanto abbiamo il conte Tolstoj. Tolstoj di natura non era un uomo molto audace; acquistò coraggio soltanto esercitando a lungo la sua volontà. Come temeva la morte da giovane! E come sapeva dissimulare la sua paura! Anche più tardi, in età matura, mentre scriveva le sue confessioni, fu il terrore della morte a ispirarlo principalmente. Egli dominava questa paura e tante altre ancora, e pensava che, essendo difficilissimo sconfiggere la paura, meglio valeva imparare a non temere il pericolo piuttosto che temerlo. E del resto chissà, forse la “viltà”, la misera, meschina viltà tanto vituperata, la viltà del sottosuolo, non è affatto un vizio così grande.

Potrebbe essere perfino una virtù! Pensate a Dostoevskij e ai suoi eroi, pensate ad Amleto. Se l’uomo del sottosuolo non avesse avuto paura di nulla, se Amleto fosse stato un gladiatore di natura, non avremmo ancora avuto né poesia tragica né filosofia. Si sa che la paura della morte è sempre stata l’ispiratrice dei filosofi. Forse il demone poetico che fece di Socrate un saggio era solo una personificazione della paura. Pensate anche ai suoi sogni premonitori! Ciò che lo turbava e tormentava di giorno non lo abbandonava neppure di notte. Dopo la condanna Socrate sognò di doversi dedicare alle arti, e, per paura di irritare gli dèi, a settant’anni iniziò a comporre versi. A cinquant’anni Tolstoj iniziò a occuparsi di opere pie cui prima non aveva neppure pensato. Se oggidì ci si esprimesse in forma mitologica, pure lui forse ci avrebbe raccontato del suo demone o dei suoi sogni. Invece Tolstoj usa un linguaggio scientifico e fa i conti con la morale, non con dèi e demoni. Molti Alcibiadi odierni, che per sei giorni stanno immersi nelle acque torbide della vita, la domenica vanno a lavarsi nell’acqua pura delle incontaminate idee tolstoiane. La computisteria si accontenta di questo modesto successo e immagina che, se una volta la settimana tutti si occupano di lei, allora è il succo della vita e all’individuo non serve nient’altro. Ma dal fatto che al sabato arriva così tanta gente, i padroni dei bagni pubblici potrebbero concludere a ugual diritto che durante la settimana non si dovrebbe fare alcun movimento onde non trasudare e restare sempre puliti, come appena usciti dal bagno.

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