domenica 7 ottobre 2012
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Il dialogo tra arte e fede? Basta alzare la testa e guardarsi intorno. Certo, non deve essere stato facile per lo scrittore Vincenzo Cerami, l’architetto Massimiliano Fuksas e il regista Ermanno Olmi parlare del tema del loro «Cortile» («Arte e fede», appunto), sotto gli "occhi" di Giotto che, dalle pareti della Basilica superiore di San Francesco (dove il dibattito si è svolto), da oltre sette secoli continua ad insegnare la materia agli artisti di tutto il mondo.Ma i tre interlocutori, moderati dal giornalista Roberto Olla, si dimostrano ben presto allievi all’altezza della situazione. Forse non ripetono quanto lo stesso Giotto fece con Cimabue (cioè superare il maestro, anche perché qui si tratta di ragionare e non di produrre qualche nuova opera), ma gli spunti che alla fine del dibattito restano sul taccuino sono certamente degni di nota. Afferma Cerami: «La ricerca dell’artista assomiglia tantissimo al percorso dell’uomo di fede». Aggiunge Olmi: «Ogni giorno parlo con il mistero, tento di stanarlo, ma alla fine mi accorgo che Dio si è già rivelato all’uomo, a partire dalla più piccola delle sue creature». Infine Fuksas: «Non sono un uomo toccato dalla fede, ma riesco a vedere anche nelle cose i segni del mistero».Mistero, appunto. Ricerca, sforzo di andare al di là dell’apparenza e della superficialità. Ben presto il dibattito si concentra sull’essenziale. Cioè su ciò che manca oggi e su ciò che dovremmo invece recuperare per mettere fine a quello che il cardinale Gianfranco Ravasi, introducendo l’incontro, «chiama il divorzio tra arte e fede, consumatosi specialmente nel ’900, dopo secoli di felice e fecondo matrimonio». L’architetto Fuksas, in proposito, ha una sua idea ben precisa: «Oggi è difficile pensare a un’arte cristiana, perché abbiamo perso la nozione di simbolo. Purtroppo Pasolini è stato profetico, quando diceva che la televisione avrebbe ammazzato tutto. E infatti l’immagine ci ha fatto perdere il linguaggio simbolico proprio dell’arte». L’esempio che il progettista porta a sostegno della sua tesi è quello della cupola. «Una volta essa chiudeva dall’alto lo spazio delle chiese, simboleggiando la sfera celeste. Nell’800 l’abbiamo usata per il Palazzo della Borsa di Amsterdam o addirittura per qualche casinò. Oggi è perfino allegoria del potere mafioso».Eppure non tutto è perduto. Se perfino l’anticristiano scrittore Henry Miller sosteneva che «l’arte, come la religione, non serve a nulla, se non a spiegare il senso della vita», è forse arrivato il tempo di una rinnovata pace tra la fede e l’espressione artistica. Quale posto migliore, dunque, per siglare il trattato di riconciliazione, se non la francescana Assisi, patria della pace? I tre relatori concordano sulla prospettiva. Ma Olmi pone una condizione: «Dire sempre la verità, anche quando è imprudente. Oggi, anzi, dire la verità è il vero scandalo. E badate - ammonisce il regista - che la verità ha molte voci, ma purtroppo poche orecchie ad ascoltarla». Di qui il suo invito: «Dobbiamo tornare a chiederci che cosa posso fare io perché le cose vadano meglio e non aspettare che arrivi qualcuno per far andare meglio le cose».Anche per gli artisti deve essere così, aggiunge Cerami. Il quale non crede alla prospettiva di un artista completamente ateo. «Ogni artista ha per forza di cose un suo Dio. Che invochi Gesù Cristo o le Muse, egli si rivolge all’altrove e quindi indica una trascendenza. Inoltre - aggiunge lo sceneggiatore del film premio Oscar La vita è bella - egli si pone le stesse domande del credente. Nell’opera d’arte, sia essa una pittura, una musica, una scultura o una poesia, è sempre presente l’idea del mistero, della rivelazione, il problema della vita e della morte, del peccato e dell’espiazione, della verità e della menzogna. Queste cose sono innate nel cuore dell’uomo. E l’artista è colui che riesce ad esprimerle a nome di tutti. Noi, in sostanza - conclude lo scrittore - abbiamo a che fare con la metafisica».Fuksas ascolta ed annuisce. «Io - dice quando la parola torna a lui - aggiungerei che insieme alla metafisica abbiamo bisogno anche di etica. Più etica, meno estetica. Perché senza l’etica, la corruzione finirà per distruggere la stessa democrazia». Se fosse fisicamente presente, di sicuro anche Giotto si unirebbe all’applauso finale. Arte e fede. Per tutti quelli che credono a un loro rinnovato matrimonio, questo è il tempio giusto per celebrare le nozze.
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