lunedì 6 ottobre 2014
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Occorre non disperdersi. «Mantenere l’unità interiore pur vivendo in città, in un appartamento. Ma persone che vivono in convento e in comunità mi confidano di avere le stesse difficoltà». Antonella Lumini percorre una via personalissima d’incarnazione con la chiamata a essere un’eremita piantata nel cuore di Firenze. Lontana dalla fuga mundi, dosa con disciplina la connessione a internet e l’accensione del cellulare. Le sue parole sono un balsamo per l’anima. E il suo carisma profondissimo parla di Assoluto durante la preghiera nella sua stanza e i suoi passi per le strade, le ore di lavoro in biblioteca e l’incontro con fratelli e sorelle alla ricerca di senso.Come ha scoperto la sua vocazione?«Grazie a un forte richiamo al silenzio, ma la strada è stata lunga. Allora ero lontana dalla fede, ma attratta fortemente dalla natura. Così, contemplando la bellezza del creato, ho riscoperto il Creatore. Mi nascondevo in luoghi solitari dove poter ascoltare la sete dell’anima. Dopo cinque anni, attraverso un sacerdote, mi sono riavvicinata ai sacramenti e ho ricominciato a frequentare la Chiesa. Non era facile, però, trovare una collocazione. Importante fu la scoperta di una particolare vocazione tipica della tradizione ortodossa, la pustinia, esperienza di silenzio e solitudine nella piena libertà dello Spirito, al cui centro sta l’ascolto di Dio e degli uomini. Piano piano cominciai a percepire la mia casa come una piccola pustinia>». Ha avuto e ha guide spirituali in questo percorso?«Quel sacerdote che mi ha accompagnata nei primi tempi. Poi monsignor Gino Bonanni, già rettore del Seminario fiorentino, e padre Giovanni Vannucci, che ho appena conosciuto, ma dal quale ho ricevuto sostegno attraverso i suoi libri e l’eremo di San Pietro alle Stinche da lui fondato, che ho frequentato a lungo. Per il resto è stato molto faticoso: non si trova chi sostenga queste vie, per lo più non sono comprese».Quanto è difficile custodire il silenzio vivendo in città? «È molto difficile: non c’è quiete, i rumori incombono. Il silenzio profondo è un nutrimento primario per l’anima. Non se ne può fare a meno. Per mantenere l’equilibrio la sosta silenziosa è la risorsa irrinunciabile. Quando viene meno, il peso che si assorbe non può essere smaltito... Un ambiente un po’ nascosto e protetto è fondamentale».Le donne che sente "madri" e "sorelle" nel suo cammino?«Ho avuto una madre spirituale, Chiara di Cerbaiolo, eremita morta nel 2010. L’ho conosciuta nel 1980. Viveva in un eremo in cima a un monte di fronte alla Verna con il suo gregge di capre. Nel pieno spirito francescano, povertà e amore per le creature si respiravano davvero. Mi colpì subito la nudità di quel luogo, che ho frequentato assiduamente. Di sorelle ne ho incontrate: penso a quelle conosciute ai convegni di eremite organizzati negli ultimi anni. Ne ho trovate però anche nel mondo laico: donne che si dedicano in solitudine a una ricerca spirituale. Un’altra grande compagna di cammino è Simone Weil: la sua vocazione della soglia mi ha sempre corrisposto». Figure femminili bibliche su cui si sofferma di frequente?«Mi colpì subito la Maddalena. Guarita dall’amore di Cristo, si rifugia nel deserto per espiare i dolori del mondo. Anche io mi sentivo una convertita penitente. Il silenzio era il mio deserto di purificazione. Invece Maria inizialmente la sentivo troppo alta, perfetta. L’ho compresa pian piano attraverso l’amore, più lo Spirito operava in me».Com’è scandita la sua giornata?«La mattina dedico ampio spazio alla lettura della Scrittura e al silenzio. Poi alcuni giorni vado in biblioteca, gli altri scrivo, o preparo gli incontri. Nel pomeriggio a volte passo a trovare qualcuno, altre volte qualcuno viene da me. La sera cerco sempre di ricavarmi un altro spazio di preghiera e silenzio. Col tempo però ho capito che la preghiera deve sgorgare dalla vita stessa». Lavora part-time: il suo rapporto con i colleghi?«Sempre molto buono. La biblioteca è un ambiente ancora umano. Con le colleghe del Settore siamo come sorelle. Continua a venire anche il precedente responsabile per stare insieme con noi. Ogni tanto c’è qualche conflitto, ma ogni volta viene risolto attraverso il dialogo, la reciproca comprensione».Nella sua casa accoglie persone che vogliono pregare con lei? «A parte l’incontro di gruppo una volta alla settimana, vengono alcune persone per essere ascoltate. Tutto avviene nella preghiera. Quando ci poniamo nell’ascolto non siamo da soli, ma nell’abbraccio dello Spirito santo. Il piano psichico può trovare scioglimento solo alla luce dello Spirito».Ha contatti con altri eremiti?«Sì, soprattutto eremite. È stata una bella esperienza confrontare i nostri percorsi. Alcuni come me, però, non sono eremiti diocesani. Io ho sempre sentito di voler essere una semplice battezzata».Nel suo ultimo volume, "Dio è Madre", l’apostolo Giovanni presenta il suo come Vangelo dell’amore ispirato da Maria. «È il Vangelo mistico, forse ispirato a Giovanni dalla madre di Gesù, che egli aveva preso in casa sua. Maria ha conosciuto tutto dell’amore, la realtà sublime, ma anche il peso della più grande sofferenza. L’aspetto materno di Dio fa comprendere che l’amore porta tutto su di sé e che più ama dove più vede chiusura e buio. Dove c’è lontananza, resistenza, l’amore ama infinitamente per riportare a sé».Pensa che nella Chiesa la donna sia valorizzata per i suoi carismi e la sua identità profonda?«Non abbastanza. Nella Chiesa c’è sempre stata una certa misoginia. Sia le suore che le laiche vengono ascoltate poco. Il femminile è una voce che deve emergere sull’oscurità del mondo. È l’interiorità, l’intuizione, la contemplazione. Il senso materno richiede ricettività, farsi calice pronto a contenere, accogliere. Esprime la qualità più profonda di amore. Anche in ambito laico questa voce deve emergere. L’emancipazione sul piano dei diritti è importantissima, ma non basta. A volte per emergere le donne assumono ruoli maschili, quelli vincenti. Così tradiscono se stesse. È invece importante che riscoprano le loro immense ricchezze e, anche dentro la Chiesa, possono farlo solo loro. Non imponendosi con forme di potere, ma affermandosi per nobiltà interiore».
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