venerdì 18 marzo 2016
​​Il calcio diventa la via maestra per rimanere attaccati ad una dimensione umana.
Erbil Sport Club, la Juve che sfida la guerra
COMMENTA E CONDIVIDI
Il calcio come via maestra per rimanere attaccati ad una dimensione umana. Nella curda Erbil, terza città dell’Iraq di oltre un milione di abitanti, si vive in mezzo agli orrori della guerra e con la minaccia del Daesh dietro l’angolo. Eppure, l’amore per il football non registra cali. L’Erbil Sport Club è la Juve del calcio iracheno, la squadra più titolata di quell’area geografica ricca di storia. E non manca un pezzo d’Italia nel settore tecnico: il responsabile della pianificazione giovanile è il sardo Giuseppe Murgia, arrivato ad Erbil alcuni mesi fa. E c’è anche Fabio Tricarico, promotore di una scuola calcio. L’ex centrocampista di Monza e Torino, 45 anni compiuti a novembre, ha riunito nell’Erbil Sport Academy più di duecento bambini contribuendo a dare serenità, attraverso il calcio, a chi è costretto a vedere l’orrore della guerra giorno dopo giorno. La guerra si percepisce ovunque. Pochissimi i mezzi materiali, elevatissima la voglia di imparare. La fascia anagrafica dei piccoli componenti della scuola calcio di Erbil va dai 6 ai 16 anni e rappresenta il primo settore giovanile dell’Iraq. Qualcuno spera di arrivare in Europa e continuare a coltivare il suo sogno. Nel luglio di due anni fa, quando il Daesh si posizionò militarmente a poche decine di chilometri dalla città, i primi a lasciare la squadra e la città di Erbil furono tre giocatori spagnoli: Victor Manuel, Rubyato Borja e Jorji Gotor. Addio speranze di imporsi nella Champions League asiatica, via maestra per disputare il Mondiale per Club e confrontarsi, magari, con Messi e il Barcellona. Si continua a tirare calci ad un pallone nei campi polverosi curdi, nei bar non si perde occasione per guardare le partite del calcio spagnolo, inglese, tedesco ed italiano. Novanta minuti all’insegna della passione sportiva prima di tornare ad imbracciare le armi per non lasciare sguarnito il fronte occidentale del Kurdistan, sottoposto agli assalti dei miliziani del Daesh. Difficile trattenere i giocatori europei in questa situazione. La guerra contro il Daesh ha portato nel Kurdistan oltre un milione e trecentomila rifugiati siriani. Ogni sforzo di natura economica, pertanto, si è spostato giustamente sul versante dell’accoglienza. Per larghi tratti dello scontro con il califfato, i curdi hanno interrotto praticamente da soli l’avanzata del Daesh in tutto l’Iraq. Eppure, quando giocano contro una squadra irachena, vengono subissati di fischi. La federazione calcistica curda, avente sede a Erbil, punta ad ottenere l’affiliazione alla Fifa. Al momento non si può parlare di nazionale ma soltanto di selezione. Nel 2009, il Kurdistan è giunto seconda alla Coppa del Mondo dei Paesi non riconosciuti, centrando la vittoria tre anni dopo, in casa, battendo in finale Cipro Nord. Per i curdi l’obiettivo è partecipare alla Coppa d’Asia del 2019, in programma negli Emirati Arabi Uniti. In tanti sperano in un Kurdistan indipendente così da prendere parte a tutte le competizioni internazionali, non solo nel calcio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: