Il prossimo libro di Tzvetan Todorov uscirà la settimana prossima in Francia. Si intitola
Insoumis ed è un «esercizio di ammirazione» – così lo definisce l’autore – nei confronti di uomini e donne che hanno rifiutato di sottomettersi alla crudeltà della storia. Ribelli sì, ma della nonviolenza, del sacrificio silenzioso, della testimonianza personale. Una galleria di ritratti che comprende, tra gli altri, i nomi di Etty Hillesum e di Aleksandr Solzenicyn, ma anche del controinformatore Edward Snowden e di David Shulman, il mite orientalista israeliano che di recente non ha esitato a schierarsi in difesa della popolazione palestinese. «Per me – spiega Todorov – era importante che il libro rendesse omaggio anche a personalità contemporanee, viventi. Non volevo che si cadesse nell’equivoco per cui questo tipo di eroe è confinato in un passato più o meno mitologico, in un Novecento ormai lontano. Un comportamento altrettanto efficace può essere tenuto oggi, da persone umili, che vivono in mezzo a noi. Da noi stessi, in definitiva».Nato a Sofia, in Bulgaria, nel 1939 ed emigrato in Francia negli anni Settanta, Todorov è uno dei maggiori intellettuali europei. In saggi come
Memoria del male, tentazione del bene,
La letteratura in pericolo e
La paura dei barbari (tutti editi in Italia da Garzanti) ha sviluppato una riflessione di forte rigore morale, che gli è valsa nel 2010 il premio Bonura per la critica militante conferito da Avvenire. Questa mattina interviene al Festivaletteratura di Mantova per parlare dell’eredità dell’Illuminismo (Palazzo San Sebastiano, ore 10). Ieri la conversazione con la quale ha presentato in anteprima
Insoumis è stata molto seguita e applaudita. «È un elogio del “no” positivo, se così vogliamo chiamarlo: non una resa al nichilismo, ma un’affermazione etica di fronte ai drammi del presente».
A che cosa si riferisce?«Vede, a volte si ha l’impressione che figure così risolute siano in qualche modo il prodotto di situazioni estreme: guerre, rivoluzioni, dittature. Ci si illude che il sistema democratico in cui viviamo escluda la necessità di prendere posizione, ma non è così. Anche in democrazia occorre vigilare perché i diritti di tutti siano rispettati».
Compresi i diritti dei migranti?«L’accoglienza dello straniero ha sempre costituito un caposaldo della tradizione europea, sia in epoca classica sia, a maggior ragione, nell’era cristiana. Ogni giorno, però, abbiamo la conferma di come questo principio sia messo in discussione sulla base di motivazioni che, pur nella loro varietà, non tengono nella dovuta considerazione il fatto che, in questo momento, i migranti rappresentano una risorsa formidabile per la vecchia Europa. Ecco, questa considerazione di convenienza basterebbe a rintuzzare ogni argomentazione xenofoba. Ma in Francia, purtroppo, le formazioni politiche che alimentano paura e intolleranza raccolgono un consenso crescente e la Chiesa cattolica sta rimanendo sola nella sua campagna a sostegno dell’accoglienza».
Papa Francesco denuncia spesso la globalizzazione dell’indifferenza…«E ha perfettamente ragione. Il problema si pone, semmai, quando si comincia a ragionare in termini di globalizzazione dei diritti. Non ci si può più accontentare di formulazioni astratte, né di petizioni di principio. Dobbiamo avere l’onestà di riconoscere che i diritti, una volta enunciati, hanno bisogno di un’entità che ne garantisca il rispetto. Questa entità è lo Stato, lo sappiamo. Ma che cosa succede quando, in una fase come l’attuale, gli Stati cedono una parte della loro sovranità a organizzazioni sovrastatali? Si verificano paradossi come quello di cui è prigioniera l’Unione Europea: in seguito all’assurdo dispositivo della Convenzione di Dublino, per esempio, un Paese come l’Italia è pienamente europeo solo per quanto attiene all’osservanza delle regole, ma può contare unicamente sulle proprie forze quando si tratta di fare fronte all’emergenza dell’immigrazione».
Occorre una nuova iniziativa internazionale?«Occorrono, anzitutto, azioni individuali coraggiose. Perché sono sempre le singole persone a rendere possibile il cambiamento. Pensi alle decisioni prese in questi giorni da Angela Merkel, ma anche ai piccoli gesti di solidarietà compiuti da tanti cittadini anonimi in diverse nazioni d’Europa. La vera moralità della politica è questa: non l’imposizione totalitaria di un principio assoluto, ma l’influenza che le scelte morali del singolo riescono a esercitare a livello politico. Altrimenti non resta che affidarsi alla versione caricaturale della Provvidenza rappresentata dall’andamento dei mercati».
Una regola che si applica anche alla letteratura?«Certamente. Scrittori come lo spagnolo Javier Cercas e la bielorussa Svetlana Aleksievic, per citare due ospiti del Festivaletteratura, dimostrano come anche nel XXI secolo possano esistere costruzioni romanzesche, spesso contaminate con il reportage, capaci di misurarsi con le grandi questioni del nostro tempo. L’ho già sostenuto in passato e lo ripeto con convinzione: a mettere veramente in pericolo la letteratura è oggi l’intimismo nel quale molti autori preferiscono rifugiarsi anziché affrontare le trasformazioni in atto nel mondo attorno a noi».