venerdì 27 marzo 2015
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Come molto spesso accade quando si guardano fotografie dell’Ottocento il tono seppiato dell’immagine conferisce alla rappresentazione un sentimento di lontananza nel tempo, di “antichità”, che in questo caso ha l’effetto rovesciato di dare a ciò che vediamo una sua propria vitalità: parlo della fotografia che documenta il ritrovamento nel 1885 a Roma, sul versante sud del colle Quirinale, del Pugile seduto, un bronzo di medie dimensioni datato al III secolo a.C., cioè in piena età ellenistica.
 
La scultura si trova esposta ora a Palazzo Strozzi con un’altra cinquantina di bronzi di quell’epoca (che va dalla morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. alla nascita dell’impero romano e la morte di Augusto). La statua del Pugile è stata appoggiata su un grosso cumulo di terra di scavo e sembra guardare la fossa dove era stato inumato chissà quanti secoli prima. Un’immagine poetica che dice più di quanto si può pensare avendo sotto gli occhi il documento di una campagna archeologica. Potremmo dire che rappresenti la scoperta dell’umano nella scultura della Grecia che sta vivendo la fine delle Polis. Non a caso il cuore della mostra è la sezione della ritrattistica che si dipana per illustrare il pathos dell’espressione che passa sui volti, dagli occhi che filtrano i sentimenti, l’anima, la particolare individualità del personaggio. Ed è bene notare che molti di questi bronzi sono anonimi tanto nell’autore quanto nel personaggio raffigurato.
 
Se la ritrattistica greca si era occupata soprattutto di divinità e di eroi; se coi marmi ci aveva dato una sintesi dell’ideale bellezza ricercata dalla filosofia come sintesi di bello e di bene (da Winckelmann a Herder, il pensiero tedesco moderno che guardava alla Grecia antica volle proprio interpretare la scultura come arte da filosofi), finendo però per rappresentare il divino come una larva che riveste l’indicibile; ecco che con la fine di quell’epoca d’oro e delle Polis, ciò che poteva essere visto come decadenza, eccesso di raffinatezza, divenne nuova proiezione e allargamento dei confini culturali lungo le vie del Mediterraneo. L’ellenismo, sul piano geopolitico, si estendeva dalla Magna Grecia all’India, dall’Egitto al Mar Nero, un’area vastissima, che rappresentò, in un certo senso, il primo caso di “globalizzazione” culturale, di cui i bronzi riuniti a Firenze, che andranno poi al Museo Getty di Los Angeles e infine alla National Gallery di Washington, testimoniano anzitutto la caduta degli dei sulla terra, ovvero una umanizzazione del divino.
 
Alcuni riprendono la statuaria classica, ma il bronzo, per la sua duttilità, arricchisce la «copia» di quelle sfumature espressive che segnano lo scarto dalla classicità e la aprono a influenze esterne. In alcuni ritratti, come quello dell’uomo con la Kausia (il copricapo di origine macedone di ampia forma, che proteggeva sia dal freddo che dal caldo), lo sguardo è quello folgorato da una visione inattesa: gli occhi sono incastonati di ceramica e alabastro che conferiscono a questa testa, ritrovata nel mar Egeo nel 1997 e che doveva appartenere una statua a figura intera, una vitalità inaudita.
 
Lo stesso accade col ritratto maschile del IV-III secolo prestato dalla Biblioteca nazionale di Parigi, di straordinaria qualità realistica nei dettagli della pettinatura, di ciglia e sopracciglia, della puntinatura della barba. La dipendenza di questo ritratto da modelli italici funerari trova qui una resa plastica e un pathos che non invidia nulla alla ritrattistica etrusca in terracotta. A sottolineare l’impronta derivata da modelli quotidiani viene dal Museo archeologico di Iraklion (Creta) la statua del giovane efebo: vista di fronte ha quasi una naturalezza da realismo ottocentesco, ma sul fianco destro mostra un andamento delle forme del corpo, semplificate dalla chiusa dentro l’himation, il mantello tipico dell’antica Grecia, con un impatto plastico che riassume l’intera figura dentro un segno quasi espressionista. Anche la curiosa figura di artigiano del I sec. a.C., che si pensa possa raffigurare Fidia, ha una forte accentuazione dei tratti da uomo comune: basso di statura, tarchiato, braccia forti e gambe quasi deformate di chi è solito portare pesi, un taccuino nella cintola, barbato e stempiato: insomma, un tipo che meno idealizzato non potrebbe essere e che sembra raccogliere echi da Oriente.
 
Dal Kunsthistorisches di Vienna viene l’Atleta con strigile (l’attrezzo che gli sportivi usavano per pulire il corpo dal sudore e le polveri), a dimensione naturale: ritrovato a Efeso alla fine dell’Ottocento era ridotto in oltre duecento frammenti. È, in un certo senso, il trait-d’union fra il crepuscolo dell’ellenismo e la nascita della scultura imperiale romana, risale infatti al 50 d.C. Il confronto con lo stesso soggetto raffigurato nella statua proveniente da Zagabria e rinvenuta nel 1997 a grande profondità nell’Adriatico settentrionale (databile al I secolo a.C.), mostra il cambio di registro formale tra una scultura, quest’ultima, dove l’eleganza anatomica sembra ancora esprimere un ideale sovrumano; e la statua di Vienna nella quale l’anatomia suggerisce piuttosto il tema della potenza, del corpo muscoloso e palestrato, e lo stesso gesto di pulirsi il braccio con lo strigile evoca pose che ben conosciamo dai culturisti di oggi. Questo passaggio di testimone fra età ellenistica e nuova epoca romana s’impone con chiara evidenza nel marmo dello Spinarioproveniente dal British Museum, un “intruso” (rispetto alla parata dei bronzi) che marca, rispetto allo Spinariodei Musei capitolini una nuova e più contorta ricerca della forma espressiva.
 
Questa mostra, curata da Jens Daehner e Kenneth Lapatin, è una messa a punto delle ricerche emerse negli ultimi decenni. Pone molti interrogativi sulle tecniche, l’estetica, i materiali di una scultura di cui sono riemersi in tempi vicini pezzi straordinari (vedi il Satiro danzante ritrovato a Mazara del Vallo nel 1997). Questioni che vanno dalla costituzione polimaterica di tanti bronzi, alle tecniche di fusione, alla loro conservazione nei secoli molto meno frequente della scultura in marmo. Per finire da dove abbiamo cominciato, pare che sotto un occhio il Pugile seduto avesse una patinatura più scura, per significare la cosa più naturale per un pugile: un occhio pesto. Quanto tempo, non soltanto cronologico, separa questo dettaglio dalla purezza espressiva e dal piglio filosofico della statuaria greca classica.
 
Firenze, Palazzo Strozzi
Potere e Pathos
Bronzi del mondo ellenistico
ino al 21 giugnoino al 21 giugno
 
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