giovedì 19 dicembre 2013
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Si chiama Carmen Garrido, conclude ora una vita di lavoro nel Museo del Prado, dove è stata direttrice del dipartimento di documentazione tecnica. È pioniera dell’applicazione di metodi fisici e chimici per sviscerare la tecnica di ogni artista, il suo modus operandi. Questa sua metodologia l’ha applicata nel tempo a tanti pittori, dai fiamminghi fino a Goya e perfino al Guernica di Picasso. Ora lancia una notizia che ha sconvolto il mondo dell’arte: dopo un lungo studio sulla tecnica di Domenikos Theotocopoulos, alias El Greco (Candia 1541-Toledo 1614), afferma che metà dei suoi dipinti non sono suoi.Nel 2014 ricorre il quarto centenario della morte dell’artista e Garrido ha scritto un libro intitolato El Greco pintor, che aprirà le celebrazioni. È da tutto il 2013 che parla di queste scoperte e lo ha fatto in modo ufficiale e scientifico nel recente Congreso Internacional de Historia de la Pintura de la Época Moderna tenutosi all’Università di Lleida lo scorso novembre. Carmen, in realtà, non intendeva rifare il catalogo dell’artista ma solo scoprire le caratteristiche del suo dipingere per poter distinguere ciò che è di sua mano da ciò che non lo è. Ma la revisione generale della sua opera era una conseguenza necessaria. «El Greco dipinse molto», spiega. «Oltre un centinaio di opere sono scomparse o perse. Ne restano centoquaranta, delle quali posso dire che soltanto settanta sono uscite completamente dalle sue mani. Le altre non sono false, attenzione. Sono della bottega, di suo figlio, dei suoi scolari…».La bottega del Greco era fiorente e spesso il maestro dipingeva in collaborazione con suo figlio, Jorge Manuel. Furono attivi copisti altri pittori dello studio, come Luis Tristán e Pedro de Orrente. «Tristán dipinge come Tristán, ma poi finisce i quadri come El Greco. I materiali sono gli stessi, ciò che cambia è il modo di applicarli, perché il genio è sempre il genio», sentenzia Garrido, e aggiunge: «Con le radiografie vediamo, per esempio, che nelle copie, per quanto di buona qualità, non si vedono gli strati e i cambi che faceva il pittore normalmente nella struttura interna del quadro. Si vede invece che il pittore ha dipinto alla sua maniera e poi ha dovuto terminare il quadro alla maniera del Greco, perché avesse il marchio di bottega». E ancora: «Ci sono quadri che sono stati attribuiti al Greco come bozzetti di un quadro finale, ma noi abbiamo scoperto che non sono bozzetti previi ma dipinti realizzati posteriormente rispetto all’originale». Stando alla Garrido sono completamente di mano del Greco le quattro Annunciazioni dislocate in vari musei, così come i dipinti più noti: El entierro del conde de Orgaz, il Cavaliere con la mano sul petto, l’altro Cavaliere al Museo del Prado e la Trinità dello stesso museo, L’adorazione del nome di Gesù all’Escorial ecc. I dubbi o la certezza di altre mani nell’esecuzione riguardano i numerosi “Apostolati” (ritratti singoli dei dodici apostoli, in varie serie) o i diversi santi di devozione. Ma non è stato pubblicato finora un elenco esauriente, bisognerà attendere l’uscita del libro l’anno venturo.Ben venga la chiarezza. Ma non lo scandalo. Da sempre si è saputo che la pittura del Greco è molto particolare e difficile da imitare. Ma ancor più noto è il fatto che tutti i grandi pittori avevano una fiorente bottega, da Giovanni Bellini a Zurbarán, e che a un occhio allenato non sfuggono certe differenze. Inoltre oggi i cataloghi dei grandi subiscono modifiche costanti man mano che gli studiosi li setacciano. Caravaggio è un esempio clamoroso. Da almeno due decenni il Rijksmuseum sta rivendendo e depurando il corpus di Rembrandt.Ma El Greco era stato troppo mitizzato dalla letteratura spagnola. Lo si vedeva come l’essenza dell’ispanismo, come il pioniere di tutta la scuola del Siglo de Oro. Osare mettere le mani sul mostro sacro ha un grande merito. E senza nulla togliere alla sua genialità e importanza, è bene inquadrarlo in modo più corretto. Egli rimane quell’artista sognante, dalle figure oblunghe, le composizioni surreali, le nubi di materia zuccherosa, «i panneggi che ripugnano al corpo e stan di per sé ed agiscono come realtà impacciosa e solida», come diceva Longhi. E quel colore posato alla veneziana e di una brillantezza nuova nella severa Spagna.
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