sabato 9 agosto 2014
Il suo pensiero sta trovando nuovi filoni di interesse da parte di alcuni studiosi italiani.
Edith Stein, un pozzo di sorprese infinite
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Cosa è che fa “grande” un filosofo? Se lo chiedeva Karl Jaspers nella sua monumentale ricerca dedicata appunto ai “Grandi Filosofi”, dove senza timore inseriva accanto a Platone, Agostino e Kant, anche Buddha, Confucio e Gesù. Certo un pensatore non è grande per la mole delle indagini che ha compiuto e neppure per le altezze speculative che ha elaborato, quanto piuttosto per la sua capacità di essere insieme legato al proprio tempo e di superarlo, mostrando il carattere sovrastorico del suo pensare, che ce lo rende nostro contemporaneo.
È grande, insomma, il filosofo che è in grado di tradurre le sue esperienze di pensiero in forze vive per il presente, che è capace di arrecare al mondo un contenuto comunicabile prima inesistente, che esprime non tanto l’originalità delle sue intuizioni teoretiche, quanto la sua tensione a toccare la fonte dell’origine perenne del vivere e del pensare. Singolare e tragica appare, in tal senso, l’inequivocabile grandezza di Edith Stein, irrigidita nel tempo in icone stereotipate che l’hanno vista ora pensatrice pedissequamente allineata al maestro Husserl, ora fenomenologa "tomista", ora teorica della mistica, ed ancora filosofa del pensiero femminile ed anche espressione di una nuova filosofia cristiana.
Morta da ebrea ad Auschwitz nel pieno delle sua maturazione intellettuale, è celebrata oggi da santa nel mondo cattolico che la riconosce, grazie a Giovanni Paolo II, con il titolo di Dottore della Chiesa. Quanti volti per un’unica persona! È forse l’impossibilità di vederla irripetibile e presente in tante vie, apparentemente inconciliabili, che la rende inafferrabile e lontana, se è vero che la sua grandezza stenta ad imporsi nel panorama, peraltro misero, della filosofia contemporanea. A tale questione cerca di rispondere "Ripartire da Edith Stein. La scoperta di alcuni manoscritti inediti", bellissimo volume a cura di Patrizia Manganaro e Francesca Nodari (Morcelliana, pp. 492, euro 35), dove un nutrito drappello di studiosi di varie nazioni si incontrano per rileggerne la grandezza, partendo da prospettive assai diversificate, eppure tenute insieme dalla tenacia di valorizzarne la imponente statura intellettuale.Né si pensi che i molti contributi, che appaiono in questa opera, siano il risultato di ricerche episodiche ed indipendenti fra di loro: l’originalità della "scuola fenomenologica" è proprio quella di aver creato, sin dai primi decenni del Novecento, una comunità di studiosi che insieme condividono riflessioni e scoperte, che amano incontrarsi intorno alle questioni essenziali, che creano perciò una autentica comunità spirituale, in grado di riaccendere – sempre e di nuovo, come diceva Husserl – l’autentica passione del pensare, mettendo in moto energie antiche e nuove, sorte dall’incontro delle diverse generazioni di studiosi.

Concepito inizialmente come pubblicazione degli Atti del convegno, tenuto a Bari nell’aprile del 2013 e curato ottimamente dalla due studiose, il volume si è arricchito di un notevole repertorio di studi critici, inaugurato l’anno precedente dall’imponente lavoro di Francesco Alfieri (Die Rezeption Edith Steins. Internationale Edith Stein Bibliographie. 1942-2012), che ha senza dubbio segnato una ripresa entusiasta degli studi steiniani. Raccogliendo in cinquecento pagine i quasi tremila titoli, relativi alle ricerche sull’illustre fenomenologa, l’instancabile ricercatore italiano non ha certo inteso presentare una neutra raccolta di studi sul tema, quanto riaccendere l’entusiasmo sulle nuove piste di lavoro, che qui si intravedono e che richiedono nuovi sforzi per rileggere le pagine dense e ricche delle opere della Stein. Un esempio su tutti: il lavoro sull’empatia, scritto dall’ allora giovanissima fenomenologa nel 1917, contiene alcune profonde intuizioni su questo vissuto soggettivo, che solo in questi ultimi anni ha avuto riscontro anche in alcuni importanti risultati delle scienze neurologiche. Il carattere innovativo di questa dissertazione è ancora tutta da valorizzare nella sua pienezza e certo la scoperta di alcuni inediti sul tema fanno pensare a quanto di prezioso contiene questa opera, tradotta in Italia negli anni 80 del secolo scorso e valorizzata in prevalenza all’interno della eccellente scuola fenomenologica italiana, diretta da Angela Ales Bello. Ma le sorprese non finiscono qui, perché è dalla scoperta di numerosi carteggi inediti, che sembra riproporsi con forza, quasi come un fiume sotterraneo sempre colmo di acque che riemergono improvvisamente, la grandezza di questa protagonista del pensiero novecentesco.
Vale la pena raccontare un episodio significativo: si deve ancora al giovane Alfieri il ritrovamento di un prezioso carteggio intercorso tra Edith Stein e il fenomenologo polacco Roman Ingarden, un plico di 164 lettere per un totale di 354 pagine stenografate, di proprietà della filosofa americana Anna-Theresa Tymieniecka, recentemente scomparsa. Il progetto filosofico di quest’ultima, purtroppo rimasto incompiuto, mirava a ricostruire le origini del movimento fenomenologico che si andava costituendo intorno al maestro Husserl, così che attraverso la lettura di questo e di altri documenti ancora inediti se ne può tracciare «una immagine vivente, la vita filosofica vista dall’interno», secondo le parole della stessa Tymieniecka. Compito affascinante ed unico che rimane in preziosa eredità a quanti oggi potranno rivedere e reimpostare le loro ricerche su Edith Stein e sul suo insostituibile contributo all’interno della allora giovane comunità fenomenologica.

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