martedì 29 settembre 2015
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Nuove nubi si addensano sul patrimonio archeologico e monumentale della Siria, già duramente provato da quasi cinque anni di guerra. Dopo le drammatiche notizie sulla distruzione dei due templi del II secondo secolo d.C. di Bel e di Baal-Shamin a Palmira e dell’assassinio dell’anziano archeologo Khaled Asaad, ora le preoccupazioni principali riguardano i reperti del grande sito di Ebla, scoperto dall’archeologo italiano Paolo Matthiae, che si trova a una quarantina di chilometri da Aleppo. La missione italiana da molti decenni sta lavorando sulle rovine di questo importantissimo sito archeologico che risale al II e III millennio a.C.  È Maamun Abdulkarim, direttore generale delle Antichità e dei musei della Siria, a lanciare l’allarme nel suo ufficio al Museo nazionale di Damasco, dove guida il Dgam (Directorate-general of Antiquities & Museums) impegnato con scarsissimi mezzi e risorse a salvare il grande patrimonio della Siria. «Oltre a Palmira – dice – i timori maggiori che abbiamo adesso riguardano il museo archeologico di Ebla, che si trova a Idlib, cittadina situata in una posizione di grande importanza strategica nel passato, sulla strada per la costa e per Damasco. In primavera è caduta nelle mani dei jihadisti. Nel museo sono conservate migliaia di tavolette cuneiformi di argilla ritrovate nel Palazzo Reale, che risalgono al III millennio a.C., oltre a coppe, anfore, brocche, utensili. Purtroppo il museo non è stato evacuato in tempo. Abbiamo però il sostegno della popolazione locale per difenderlo. I capi tribù ci hanno garantito che ci appoggeranno e che non lasceranno entrare i miliziani. Per il momento ci sono riusciti». 

Maamun AbdulkarimI danni provocati dalla guerra al preziosissimo patrimonio archeologico e monumentale siriano sono enormi. I combattimenti, i bombardamenti, gli attacchi terroristici hanno colpito duramente la più grande ricchezza del Paese. Secondo dati dello stesso Dgam, in Siria sono stati danneggiati in vario modo 758 tra siti ed edifici di rilevanza storica e archeologica, la maggior parte nella provincia di Aleppo (280), poi in quella di Homs (114), di Daraa (77), di Deir-Azzor nell’Ovest del Paese, che è controllato dall’Is (83), e di Damasco (30). Se la Città Vecchia di Damasco per ora è indenne, non si può dire lo stesso per le altre antiche città, in particolare Aleppo.  «Temiamo molto per la Cittadella – continua Abdulkarim – che ormai è stata abbandonata dagli abitanti ed è al centro di duri combattimenti. Per ora è stata risparmiata dai bombardamenti e dagli attacchi kamikaze anche perché si trova in una posizione particolare, su una collina a una cinquantina di metri d’altezza che sovrasta la città. Tuttavia ad Aleppo-città sono stati completamente distrutti 150 edifici di grandissimo valore storico e architettonico, chiese, moschee, monumenti, palazzi. Intorno alla Cittadella si continuano a costruire tunnel che vengono riempiti di esplosivo e fatti saltare, e che hanno già gravemente lesionato la cinta muraria. Il suq della città e la grande moschea degli Omayyadi sono stati danneggiati, il minareto distrutto, razziato un pulpito di legno; bombe collocate in un tunnel hanno incrinato la struttura e fatto crollare parte dei muri esterni. In Siria c’è un patrimonio da difendere che non è del governo e non è dei ribelli, ma è di tutti i siriani e di tutta l’umanità. Lo stesso assassinio dell’archeologo Khaled Asaad priva il mondo intero e non solo i siriani di uno dei massimi esperti di Palmira, di cui era direttore dal 1965. Si sono accaniti su di lui soprattutto per dare un segnale al regime, sapendo che era uomo vicino al presidente». Tuttavia, lo staff guidato da Maamun Abdulkarim ha ottenuto anche notevoli risultati. A Palmira, se è vero che la distruzione dei due templi di Bel e di Baal-Shamin sembra confermata, sono state salvate le statue e i reperti che si trovavano nel museo della città: il direttore conferma che sono state tutte spostate prima dell’arrivo dei miliziani con le bandiere nere. Questo smentisce molte voci e immagini, forse false o scattate altrove, circolate su vari media e sui social network che mostravano distruzioni di statue. «Dopo quello che è successo in Iraq, in particolare a Mosul – spiega –, ci siamo mossi immediatamente e abbiamo preceduto i miliziani dell’Is. Quando abbiamo visto che si stavano avvicinando a Palmira, abbiamo prelevato dal museo tutte le statue, che sono il loro primo bersaglio, perché le ritengono una forma di idolatria, e le abbiamo portate via. Circa 400 tra teste, sculture e altri frammenti, sono stati trasferiti a Damasco in un luogo che teniamo segreto. Anche i musei di Aleppo sono stati svuotati e i reperti trasferiti».  L’unica statua che il fanatismo jihadista è riuscito a distruggere prima delle esplosioni ai due templi a  Palmira è stato il grande leone nel tempio di Allat. «L’hanno distrutto perché era impossibile rimuoverlo: infatti, le statue e gli altri reperti che riescono a prendere vengono poi rivenduti. Il commercio dei reperti archeologici è infatti una delle maggiori fonti di finanziamento dell’Is». Ma il gigantesco leone di pietra calcarea, alto più di tre metri, che era stato racchiuso in una gabbia d’acciaio e circondato da sacchi da sabbia per proteggerlo da tentativi di aggressione, aveva anche un forte significato simbolico. «Messo a guardia del tempio – continua Abdulkarim –, raffigurava un leone con la bocca spalancata come se stesse ruggendo, mentre teneva in mezzo alle zampe anteriori un agnello disteso, in assoluta quiete. Era chiaro il messaggio pacifico di questa statua».  Ma non c’è solo la furia fondamentalista: esiste anche il vandalismo e una mafia che traffica con i beni archeologici incustoditi. «Decine e decine di siti di interesse storico e archeologico sono stati depredati, soprattutto nel governatorato di Deir-Azzor nell’Est del Paese e nella stessa Raqqa, “capitale” del sedicente Stato Islamico. Altri danni sono stati inferti al sito di Apamia, nel governatorato di Hama, tra Homs e Aleppo, uno dei più importanti della Siria, che risale al 300 a.C., dove sono stati saccheggiati molti reperti. Ma centinaia di altri sono stati salvati, grazie soprattutto all’aiuto della popolazione».  Un altro sfregio è la distruzione delle tombe e di tutti i monumenti funerari di etnie diverse da quella sunnita, soprattutto la sciita, nelle città dove l’Is è entrato, nel Nordest. «Anche se raramente hanno un valore e un pregio artistico, si è trattato di una devastazione. Secondo i nostri dati, si parla del novanta per cento delle tombe distrutte in quella zona. Lo scopo è quello di annientare le altre etnie, mortificarle, cancellarne la memoria».
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