giovedì 3 dicembre 2009
Il pensatore di Rovereto smontò l’impianto teorico del «Manifesto del Partito comunista» un anno prima che questo uscisse Profetizzò i guasti del totalitarismo e notò che «già per quei socialisti il matrimonio monogamico è la più lacrimevole calamità della terra».
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Karl Marx non aveva ancora dato fiato alle trombe del comunismo. Il suo Manife­sto del partito comunista era solo in bozze, eppure Antonio Rosmi­ni, con singolare lungimiranza, ne smontò in anticipo l’impianto teo­rico pur non avendolo ancora let­to. Lo dimostra la recente pubblica­zione di un’opera del filosofo di Rovereto a torto considerata mi­nore: Saggio sul comunismo e sul socialismo , edizioni Talete. Un breve trattato redatto in forma di discorso e letto all’Accademia dei Risorgenti di Osimo nel 1847. Ro­smini prende spunto dalla diffu­sione in Europa del comunismo utopistico per appellarsi alle genti italiche e scongiurare l’adesione alla «fallace via» di quei «falsi sa­pienti ». Vengono così confutate punto per punto le teorie di Ro­bert Owen, Saint-Simon, Charles Fourier, François-Noel Babeuf. Tutte tesi che promettono una pubblica felicità ma con il loro materialismo annientano il valore della persona, «asciugando la fon­te di tutti i suoi beni individuali e sociali: la libertà». In simili dottri­ne i cittadini sono ridotti al rango di «macchine o animali, ad una sì vile condizione a cui non discese­ro mai gli schiavi greci né romani». La carica utopica pervaderà anche il trattato di Marx e fungerà da «e- sca» per molti, persuasi di veder fi­nalmente migliorate le condizioni della «classe più numerosa e pove­ra ». Per Rosmini però non era cer­to una novità dei comunisti que­sta sensibilità sociale che il cristia­nesimo proclamò per diciannove secoli, «inserì nelle menti, inscris­se nei cuori, trafuse nelle abitudi­ni ». E replica: «Noi abbracciamo lieti cotanta umanità in verso la classe più necessitosa; ma ci la­mentiamo nello stesso tempo, perché non l’estendano a tutte le altre classi, e così restringano e smozzino quella che da san Paolo è grecamente chiamata filantropia di Cristo, la quale non dimentica né i diritti, né i bisogni di uomo al­cuno ». Quando poi dai principi si passa alla pratica, i mezzi proposti da quei «riformatori dell’umana famiglia» lasciano intravedere già i germi del totalitarismo: «Il gov­er-storia no datoci per sicura panacea delle presenti sciagure, deve possedere un’autorità, una potenza troppo maggiore di tutti i governi presen­ti, anche dei più assoluti, e di tutti quelli altresì che furono in sulla terra... Il suo potere è assoluto su tutte quante le cose e su tutte quante le persone: la proprietà in­dividuale è abolita, il nuovo gover­no depositario di tutta la ricchez­za ». Così come viene prean­nun­apocalittica ciata dal filosofo roveretano la bat­taglia contro l’«oppio dei popoli»: «Tutti i progetti degli utopisti so­ciali richiedono a primissima con­dizione che quanti sono i popoli della terra cessino oggimai dal credere e dal professare la loro re­ligione ». La morale tradizionale fi­nisce sotto accusa perché inibisce le passioni, con tutte le incon­gruenze sollevate da Rosmini: le passioni possono essere anche ne­gative, e se ogni cosa è lecita, si fi­nisce nella guerra di tutti contro tutti. Viene a cadere la distinzione tra bene e male: un anticipo se vo­gliamo del relativismo odierno. Come evidenzia il saggio, già per quei socialisti «il matrimonio mo­nogamico è la più lacrimevole ca­lamità della terra; ché egli pone un freno alle basse passioni ed aboli­sce la felicità delle unioni selvagge e ferine». In questi sistemi dove l’individuo non conta più nulla, lo Stato rimane l’unico riferimen­to: il «governo è tutto, arbitro di tutte le persone, regolatore di tut­ta l’attività dell’uman genere, da quella del pensare fino a quella del sentire». Per questo è amaro il nostro auto­re quando scrive che non basta la «corruzione del cuore» per pro­durre simili teorie che fondono anche «l’ignoranza dell’umana natura e un’ispirazione satanica». Ma Rosmini prevede comunque l’inevitabile fallimento di una so­cietà in cui i governati si aspettano di essere nutriti con amore dai go­vernanti «come i rondinini dalla sollecita loro madre». E ironizza anzitempo sulle due fasi della ri­voluzione comunista in cui «i maestri della dottrina procurano di tirare e rapire tutti i beni a sé, ri­serbandosi poi a distribuire l’uso con ammirabile uguaglianza e ge­nerosità a tutti… Ora voi vedete che tentare la prima delle due o­perazioni è cosa più facile e pron­ta che non sia adempire la secon­da, riserbata a un tempo indefini­to dell’avvenire… A chi sarà diffi­cile, o signori, giudicare la proba­bilità della buona riuscita di un ta­le sistema?». Quando alcuni mesi dopo, fra il dicembre 1847 e il gennaio del 1948, Marx ed Engels nel Manife­sto inviteranno i proletari di tutto il mondo a unirsi perché nella ri­voluzione comunista essi «non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene», Rosmini aveva già implorato i suoi connazionali: «A­spetteremo una società libera da chi prima di tutto annulla ogni li­bertà individuale?».

Antonio Rosmini SAGGIO SUL COMUNISMO E SUL SOCIALISMO Talete. Pagine 60. Euro 13,50

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