domenica 23 ottobre 2022
Il prefetto del dicastero vaticano per lo Sviluppo integrale racconta la sua esperienza fra i profughi in Ucraina e la capacità dell’accoglienza di infrangere l’ordito della guerra
Il cardinale Michael Czerny

Il cardinale Michael Czerny - archivio

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La 'cultura dell’incontro' ha un particolare legame con la 'via della bellezza'. E in modo ancora più specifico il nostro essere insieme, guardarci negli occhi, salutarci e presentarci, mettere in comune convinzioni e interrogativi appartiene alla bellezza della pace. Quando la pace manca, bisogna tesserla con incontri. Pavel Evdokimov, commentando il romanzo L’idiota di Fëdor Dostoevskij, sottolineava come lo scrittore russo avesse colto nelle sue opere il carattere profondamente ambiguo della bellezza, capace sia di salvare che di ingannare. So che potrà apparire paradossale, ma vorrei cominciare la nostra riflessione sulla Bellezza anzitutto mettendone in risalto la drammatica e paradossale ambiguità, che oggi si manifesta in modo speciale nella guerra. Non credo che nella guerra vi sia alcunché di bello, ma se vogliamo fare i conti con la realtà, con tutta la realtà, allora dobbiamo ammettere che la guerra è capace di produrre una fascinazione, di esercitare una suadente forza attrattiva, che può ricadere sotto l’egida della bellezza. Da Omero alle correnti artistiche dei primi decenni del Novecento, l’arte e il cinema hanno celebrato la forza, la crescita di potenza, anche l’energia che si sprigiona dal fuoco della guerra. Pochi oggi sottoscriverebbero affermazioni così clamorose, ma non possiamo non avvertirne il sapore in molte narrazioni mediatiche della guerra, di cui riceviamo immagini, ascoltiamo evoluzioni e ci interessiamo alle strategie come qualcosa che solletica dimensioni misteriose nascoste in noi. C’è dunque un’estetica della guerra, un’attrazione per l’annientamento attraverso tecnologie sempre più sofisticate, una morbosa e oscena rappresentazione della violenza. E c’è anche un piacere della forza che occupa una parte importante del discorso pubblico e dell’immaginario collettivo. In realtà, tutto ciò è presente anche nei nostri conflitti più quotidiani, quelli familiari, o lavorativi, o di vicinato. Fare male resta seduttivo e ci carica, almeno inizialmente, di energia, riempiendoci di motivazioni. Ciò che papa Francesco insegna sul tema del conflitto andrebbe riletto con particolare attenzione, perché risulta oggi di fondamentale importanza per la nostra vita concreta. Il suo fascino è molto più profondo di quello che viene colto ed esaltato dagli uomini di guerra. Così lo dipinge l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium al n. 227, indicando un «modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo ». Rispetto a quello esaltato dai lirici greci o dai futuristi, è descritto qui un dinamismo più lento, ma anche più performativo. L’artigianato della pace non è l’industria della guerra: come ogni artigianato, ha a che fare con la bellezza del pezzo unico e con la capacità di cominciare ogni volta da capo. La bellezza, la verità, la bontà non sorgono mai due volte allo stesso modo. Così, oggi più che mai, la ricerca della qualità della vita ci fa reimparare l’arte della mediazione. L’artigianato della pace fa i conti con quanto avvenuto e non teme di chiamare per nome ciò che si prova. Chi si occupa di giustizia riparativa, ad esempio, sa quanto fascino sprigiona da questa fatica. Lo sa chi entra nei conflitti avendo in mente che poi bisogna uscirne, chi dunque davvero è realista. La bellezza della pace non è piatta, o remissiva. Non è senza conflitto. Viene invece da un migliore tipo di forza. E forse di questo nuovo tipo di forza ci mancano le narrazioni. Per questo è mio dovere testimoniare ciò che ho visto e udito all’inizio di quest’anno. Come inviato del Papa ai confini con l’Ucraina, già dopo le prime settimane di guerra, ho potuto vedere l’orrore del male non direttamente, ma negli occhi delle donne e dei bambini che ho incontrato: persone in fuga, sradicate, smarrite, che in uno zaino o in una borsa della spesa portavano tutto quello che era loro rimasto. Ma proprio contemporaneamente, alla frontiera ungherese e slovacca, ho visto tante persone impegnate a fare la pace, avvicinandosi ai profughi, prendendosi cura di loro. Coloro che accolgono sono un vero esercito di pace che si è mobilitato per le iniziative di accoglienza e solidarietà. Hanno una visione diversa del mondo rispetto a chi si mobilita nell’ombra, moltiplicando la produzione e la vendita di armamenti o giocando sul prezzo del gas, delle materie prime, del grano, cioè giocando con la vita e la morte di molti, per aumentare a dismisura la propria ricchezza. Occorre smascherare il carattere diabolico di questi processi disumanizzanti, che non guadagnano legittimità dal 'si è sempre fatto così'. È precisamente contro questo 'sempre' che Maria magnifica Dio perché «ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc 1,51-53). L’esercito della pace che ho visto al confine con l’Ucraina e in molti luoghi del mondo si mobilita e non cede, avendo smascherato questo inganno. La vera bellezza è fragile, ma sa opporsi al male persino dentro l’inferno.


Omar Galliani, 'Pax hominibus', 2020

Omar Galliani, "Pax hominibus", 2020 - courtesy of the artist

A Grosseto una settimana per parlare di bellezza

Non c’è bellezza senza contemplazione e non c’è contemplazione senza pace. In questo tempo segnato dal dolore e dalla guerra cercare la bellezza nel segno della pace è la speranza più viva che possiamo alimentare, nella certezza che all’origine e alla fine della nostra vita e di ogni vita non c’è il nulla ma l’abbraccio del Dio di Gesù Cristo, il Dio della bellezza e della pace. "Le vie della bellezza… artigiani di pace" è il tema scelto per la Settimana della Bellezza 2022, iniziativa promossa dalla diocesi di Grosseto e Fondazione Crocevia, in collaborazione con "Avvenire" e "Luoghi dell’Infinito", il Comune di Grosseto e importanti istituzioni culturali. La settima edizione si è aperta ieri con l’inaugurazione in duomo delle mostre, e si svilupperà in incontri ed eventi teatrali, musicali e artistici fino al 30 ottobre.
Tra i protagonisti ricordiamo il cardinale Michael Czerny, prefetto per il Dicastero per lo sviluppo umano integrale, a cui è affidata la lectio di apertura, di cui in questa pagina proponiamo un’ampia anticipazione; il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa; gli artisti Sandro Chia e Omar Galliani; i giornalisti Lucia Capuzzi (Avvenire), Carlo Cefaloni (Città Nuova), Alice Pistolesi (Atlante delle guerre); la giurista Patrizia Giunti, presidente della fondazione La Pira; i giovani di "Rondine-Cittadella della pace". Chiuderà la Settimana monsignor Antonio Pitta, prorettore della Pontificia Università Lateranense.
«Cos’è la pace? Lo shalom, che da sempre l’uomo cerca? - si domanda Giovanni Roncari, vescovo delle diocesi di Grosseto e di Pitigliano-Orbetello-Sovana - Non è solo assenza di guerre e conflitti; non è solo silenzio di armi; non è solo assenza di morti cruente. La pace, in senso biblico, è molto di più che il frutto di qualcosa che non c’è. È una presenza: è Cristo stesso la nostra pace! Ce lo ricorda san Paolo nella lettera agli Efesini. Lo dice Gesù stesso, quando, fra le beatitudini, cioè quelle strade attraverso le quali realizzare pienamente il bene e la felicità per tutti, colloca anche gli operatori di pace. I pacificatori, non i pacifisti. Coloro cioè che, pacificati nel loro cuore grazie a Cristo, diventano a loro volta strumenti di costruzione di percorsi che pacifichino le tante lacerazioni che ci sono nella vita di tutti».
Le mostre della Settimana di quest’anno sono dedicate a due grandi maestri della contemporaneità: Sandro Chia alle Clarisse, e Omar Galliani in Duomo. Chia ci presenta un uomo in cammino: non un vagabondo, ma un uomo alla ricerca di una meta che dia senso alla vita. Galliani entra in dialogo con il crocefisso del Vecchietta, maestro senese del Quattrocento. I volti del Cristo e della Vergine realizzati da Galliani esprimono il mistero dell’arte cristiana, la capacità di tenere insieme vita e morte, gioia e dolore, nella certezza che la bellezza e la pace sono davvero per sempre, sono il volto dell’Eterno. Sandro Chia e Omar Galliani ci propongono un’arte aperta all’irrompere dell’Oltre: entrambi sono alla ricerca di una bellezza inattesa, una bellezza che sorprende. Prima non c’era. O forse si annunciava come sogno. Di più: come speranza.
«La Settimana della Bellezza - dice don Roberto Nelli, direttore dell’ufficio diocesano per la pastorale culturale - vuole ricordarci che Cristo è la vera pace e insieme che ciascuno di noi è chiamato a essere, là dove vive, studia e lavora, un artigiano operoso della pace».
Giovanni Gazzaneo

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