domenica 9 maggio 2010
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Liberiamo i pesci rossi dalle bocce! Fuori i pesciolini dai tirassegno dei lunapark! Oh povera generazione di bambini che tornavano felici dalla fiera col loro pesce rosso... Reggevano il classico sacchetto trasparente con la massima cautela (se non altro per non rovesciare l’acqua) e una serena incoscienza dei diritti animali, magari avevano persino acquistato la boccia in vetro regolamentare per alloggiare il nuovo inquilino sul mobile della cucina: e non immaginavano che genere di sevizie stavano in realtà per infliggere al povero animale (il quale in effetti nella maggior parte dei casi soccombeva di lì a poco, con gran pianto del proprietario). Mentre i genitori nemmeno sapevano di rischiare, almeno in alcuni Comuni italiani, addirittura una denuncia per maltrattamenti... Dunque diciamolo forte: basta coi pesci in boccia! E non perché – secondo una diffusa leggenda metropolitana – la forma sferica procurerebbe loro disturbi «psichici», bensì a causa della scarsa quantità d’acqua e del cattivo rapporto di scambio di ossigeno in superficie, responsabili di un lento ma sicuro processo di avvelenamento e asfissia del simpatico e silenzioso animaletto da compagnia. «La boccia è fatta per le caramelle, non per i pesci», ammonisce un sito Internet d’oltralpe dedicato al «Rispetto del pesce rosso», giocando sulla rima francese tra bonbon e poisson; e sostiene senza mezzi termini che è proprio lui – il signor carassius auratus – «l’animale domestico più maltrattato del mondo!». La notizia invero circola ormai da anni tra gli esperti, e tuttavia – sostiene il web costernato – «in pieno XXI secolo vediamo ancora mamme e papà comprare un pesce rosso per cedere ai capricci del loro frugoletto e venditori da grandi magazzini lasciar fare senza dir nulla: invece boccia uguale tortura!». Anche in Italia il grido d’allarme comincia a farsi sentire, almeno nelle communities di «acquariofili consapevoli»: «Se ci fosse una maggiore conoscenza e una maggiore voglia di informarsi in tutti coloro che li comprano – scrive un portale che sta "dalla parte dei pesci" –, molte più persone saprebbero che i pesci rossi arrivano in pochi anni a superare i 30 cm di lunghezza, per 2 o 3 kg di peso. Ce li vedete nella vostra boccia da 5 litri d’acqua?». Francamente no. Se poi si aggiunge che, a parere degli esperti, un carassius che sopravviva meno di 10 anni (l’esistenza media del pesce rosso sta tra i 10 e i 15, ma il record mondiale è di ben 43 anni...) molto probabilmente ha sofferto di carenze nelle cure, allora qualche esame di coscienza sui nostri comportamenti infantili è inevitabile e doloroso. Ahi, quanti ricordi di pesci rossi posti a scorrazzare nella vasca da bagno in attesa del settimanale rinnovo del liquido (che invece – apprendiamo – dovrebbe essere fatto soltanto per il 10-20% alla volta e con acqua lasciata riposare almeno 10 ore...) o di mangimi versati sul pelo dell’acquario come formaggio sulla pastasciutta... L’allevamento del carassius non è difficile in sé, richiede però accorgimenti come l’uso del filtro (indispensabile, predicano gli esperti), la giusta quantità di cibo, i metodi per cambiare l’acqua, e così via. Gasp: tutto questo per un "semplice" pesce rosso?!? Beh, d’altra parte nessuno si sogna di far vivere un cane in una cassetta di legno o un gatto dentro una gabbia... «Invece nel caso degli acquari – colpevolizza il solito sito – chi compra pesci non solo non sa nulla delle loro esigenze, ma non ravvisa nemmeno la necessità d’informarsi. Basta aprire il rubinetto, no?». Conclusione – mamme e papà, tenetevi forte – «non va bene la boccia, non va bene nemmeno la vaschetta da 10 litri, e neppure l’acquario da 50; ci vuole una vasca di almeno 100-120 litri, e solo fino a che non saranno cresciuti ancora del tutto, poi ci vuole ancora più grande!». È vero infatti che i pesci rossi sarebbero per natura piuttosto resistenti e rustici, ma sono anche animali socievoli e dunque vanno allevati in gruppo, inoltre amano le lunghe nuotate per cui «è assurdo anche solo pensare di metterli in una boccia: rischiano di atrofizzarsi, di bloccare il processo della crescita se costretti in un ambiente troppo piccolo e questo è debilitante per la loro salute e riduce drasticamente la loro aspettativa di vita». Del resto, se considerassimo la nobile storia del vivace pesciolino, forse impareremmo a rispettarlo di più. Si tratta infatti di un discendente della carpa che i cinesi conoscono da un paio di millenni e cominciarono ad allevare (prima fra le specie ittiche ornamentali) nei laghetti presso i monasteri già verso il IV secolo, considerandolo sacro a causa della livrea metallica che – esposta al sole – lo faceva sembrare d’oro (goldfish è ancora il nome inglese della creatura). Lungo i secoli poi, grazie all’estrema cura e abilità degli orientali, il carassius venne selezionato in varietà anche notevolmente diverse per colori e forme (oggi gli specialisti distinguono una quindicina di razze con almeno 300 varietà, tra cui in Asia e in America si svolgono regolarmente gare di bellezza), diventando un oggetto distintivo per la nobiltà ma anche un animale molto comune tra il popolo. Un passo decisivo il pesce rosso lo compì nel 1502, quando venne esportato in Giappone, isola fondamentale per il suo sviluppo. Dalla colonia portoghese di Macao invece il vispo pesciolino giunse per la prima volta in Europa nel 1611. E i successivi 4 secoli sono stati per lui un seguito di successi occidentali: nel 1728 ad Amsterdam si verificavano le prime riproduzioni in cattività, nel 1794 in un recipiente di terracotta si compiva lo sbarco in Gran Bretagna (oggi i più rinomati allevamenti europei sono appunto inglesi e tedeschi) e nel 1852 un commerciante cinese li esportava a San Francisco. A fine Settecento in Russia la zarina Caterina II li usava per adornare le tavole dei suoi banchetti, mentre in Francia all’epoca di Napoleone III pare che le dame appendessero addirittura alle orecchie piccole bocce con piccolissimi pesci (!). Quanto all’Italia, i primi allevamenti risalgono alla fine dell’Ottocento in Liguria ed Emilia Romagna, ma il boom è ovviamente del dopoguerra; pare che oggi siamo per quantità i maggiori allevatori del vecchio continente, tuttavia proprio l’attenzione al numero piuttosto che alla qualità ha prodotto uno scadimento delle varietà, senza contare che il basso prezzo ha finito per nuocere al pesce rosso, considerato ormai quasi universalmente un «oggetto» di scarso valore, breve durata, facile sostituzione e dunque pronto consumo. «Il pesce rosso – sintetizza un’appassionata italiana – costa poco, si trova dappertutto e molti sembrano aver dimenticato che è un animale con le sue necessità e i suoi diritti». A tale mentalità ora qualcuno comincia a reagire, e in modi vari: si va dalle decalcomanie che esortano spiritosamente ad abolire la boccia di vetro, fino ai regolamenti che in alcuni Comuni (Firenze e Roma, ad esempio) vietano di detenere fauna ittica in meno di 30 litri d’acqua; per non parlare della proposta inglese di proibire di mettere animali in palio nei luna park. Ma la tendenza più drastica è forse tornare a «liberare» il carassius negli stagni da giardino, grazie alla sua capacità di adattarsi ad acque relativamente fredde. Lì il pesce rosso torna davvero re. E tanti saluti alle bocce di vetro.
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