lunedì 27 maggio 2013
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​Per tutti «Pendolino» è sinonimo di treno veloce. Lo fu dagli inizi, 25 anni fa, con l’avvento di quell’elettrotreno affusolato che ricordava tanto il muso di un aereo. Quel 29 maggio di un quarto di secolo fa segnò una data molto particolare nel mondo del trasporto: l’arrivo – con gli occhi di oggi si deve dire solo parziale, mancando allora quasi completamente l’infrastruttura – dell’alta velocità ferroviaria. Eppure il Pendolino, treno veloce con i suoi 250 orari, per quanto venga genericamente additato come tale, ha qualcosa di diverso. Quel treno, studiato dagli ingegneri di Fiat Ferroviaria – rilevata poi da Alstom – aveva dalla sua una innovazione, un cuore tecnologico unico che, declinato poi in differenti versioni, lo renderà un mezzo senza eguali. A cosa lavoravano i progettisti, in quei tempi che sembrano ormai lontani? Semplicemente allo studio di un treno che potesse andare più veloce degli altri sulle linee tradizionali. Perché l’ora delle linee appositamente dedicate all’alta velocità era ancora ben lungi dall’arrivare. E la necessità era quella di guadagnare minuti sui binari vecchiotti della Penisola. Un’idea, questa, ben antecedente al 1988. Gli studi era partiti molti anni prima e, alla fine, avevano portato ad una soluzione che a distanza di tanto tempo risulta tuttora vincente e richiestissima in mezzo pianeta. Quella del «tilting». Detto così sembra chissà cosa. Lo si può anche indicare «assetto variabile» o più semplicemente «pendolino». Perché quel treno che tutti chiamiamo con questo nomignolo, invero, aveva ben altro nome, ossia Etr 450. Il primo – non proprio, perché quello sperimentale era il 401 – della dinastia, lunga, che vedrà una serie notevole di discendenti: 460, 470, 480 e poi i 600, 610, i cosiddetti «interoperabili», capaci di sferragliare anche sui binari stranieri. «Tilting», o assetto variabile: le chiavi di un successo. L’idea appare semplice, ma così banale non deve essere stata per i progettisti: far sì che il convoglio potesse andare più veloce in curva senza deragliare e senza sballottare i passeggeri. La soluzione fu trovata nell’assetto: la cassa – dove si accomodano i viaggiatori – che si inclina rispetto ai carrelli. Senza dare così sensazioni sgradevoli alla clientela e senza mettere a rischio l’assetto del treno. Detto fatto. Lì nacque il sistema «tilting», lì vide la luce il Pendolino. Che grazie a questa rivoluzionaria tecnologia – ma non l’unica, l’innovazione riguardava ad esempio anche i pantografi e l’introduzione della marcia automatica – poteva viaggiare al 15% in più della velocità della linea. In pratica, per fare un esempio, dove un convoglio tradizionale viaggiava a 100 orari, il Pendolino correva a 115, il che equivaleva a fare 15 chilometri in più in sessanta minuti o 30 in due ore. Una grande differenza per quell’Italia che era sempre più condizionata dalla fretta. Lo studio del treno ad assetto variabile, dicevamo poc’anzi, era iniziato prima: si deve risalire al 1966 quando le Fs chiesero alla Fiat di studiare un veicolo con caratteristiche idonee a circolare ad alte velocità sui tracciati esistenti. Gli ingegneri Franco Di Majo e Oreste Santanera iniziarono a lavorare a quella intuizione che di lì a qualche anno avrebbe cambiato alcune abitudini degli italiani. E di mezzo pianeta. Sì, perché quel treno veloce equivalse a un terremoto nelle modalità trasportistiche del Paese: Milano e Roma si avvicinarono terribilmente e non era più il caso di utilizzare l’aereo. Ma anche città un tempo distanti «anni luce» videro accorciare il tempo di collegamento. Il Pendolino cominciò a unire capoluoghi un tempo addirittura non serviti da treni verso la capitale: così città come Savona, Bergamo, Bolzano e Taranto, solo per fare qualche esempio, videro nelle rispettive stazioni partenza e arrivo di quei treni bianco-rossi. Era una rivoluzione, appena avviata e destinata a proseguire negli anni a venire con la realizzazione delle linee ad alta velocità dove i Pendolini veniva instradati – come sulla Firenze-Roma – per guadagnare ulteriormente tempo. Quella del Pendolino, in sostanza, non solo è una storia di modalità di trasporti ma diventa una storia di costume.Quel treno, i suoi successori e le nuove linee veloci hanno cambiato il modo di viaggiare nel nostro Paese e in tanti oltreconfine. Quel treno che avrebbe potuto fare anche di più: la tecnologia del «tilting», infatti, venne testata anche su un convoglio diesel, l’Atr410. Un progetto che, purtroppo, non decollò per svariati problemi tecnici. E il cui fallimento può avere inciso non poco sul destino di molte tratte secondarie non elettrificate, alle quali questa tipologia di Etr era pensata, e che oggi più che mai sono a rischio chiusura viste le basse velocità garantite. Ma se qui da noi i pendolini diesel furono un fallimento in Germania, ad esempio, si rivelarono linfa vitale per linee secondarie che, con l’avvento dei convogli ad assetto variabile, tornarono ad essere redditizie.
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