martedì 30 dicembre 2008
A 7 anni il mitico capo indiano aveva conosciuto Cristo da un missionario gesuita e l’aveva preso come modello da imitare.
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Se fosse stato per lui probabil­mente non avrebbe accettato nemmeno un mezzobusto di pietra. Non amava essere ritratto, tanto meno farsi fotografare. Ma per la sua gente Crazy Horse, Ca­vallo Pazzo, è stato il più grande fra tutti gli Indiani d’America: più grande di Nuvola Rossa, di Coda Chiazzata e dello stesso Toro Se­duto. Le sue imprese sono entrate nel cuore di un popolo, per l’auda­cia e la generosità senza eguali. Così sessant’anni fa i nativi ameri­cani promossero l’idea di uno scultore di Boston, Korczak Ziolkowski, di scolpire un’intera montagna di granito sulle sem­bianze del leggendario capo dei pellerossa. Dopo 34 anni di lavoro, Ziolkowski, morto nel 1982, non è riuscito a vedere ultimato il suo capolavoro. Ma anche oggi non siamo nemmeno a metà dell’ope­ra. Sulle Black Hills (Sud Dakota), le colline statunitensi sacre agli In­diani d’America, per ora si vede solo la sagoma di un volto scavato nella roccia. Il progetto, a dir poco ambizioso, vuole farne il monu­mento più imponente del mondo: oltre 170 metri di altezza e quasi 200 di larghezza. Soprattutto dovrà essere dieci volte più grande di quello eretto dal 1927 al 1940 su un altro monte delle Black Hills (il Rushmore) con le teste di 4 presi­denti degli Stati Uniti ( Washing­ton, Jefferson, Roosevelt e Lin­coln). Per gli indigeni americani questa iniziativa fu una provoca­zione, perché proprio l’invasione di quelle colline da parte dei bian­chi aveva scatenato la «grande guerra» del 1876-77, costata la vita a Cavallo Pazzo. Dopo la scompar­sa di Ziolkowski, è nata una fonda­zione no profit per sostenere il completamento del Memoriale, che è già un’attrazione per mi­gliaia di turisti, ancor più que­st’anno con le celebrazioni del 60° anniversario. Si rinnova così l’epo­pea dell’eroe dei Sioux, che nella sua pur breve esistenza ha lasciato un alone mitico indiscutibile. Una serie innumerevole di leggende circola sulla sua figura, su cui per­mangono ancora molti misteri. Ecco perché appare imprescindi­bile il saggio avvincente di King­sley M. Bray Cavallo pazzo. Il gran­de condottiero del Little Bighorn (Mondadori, pp. 534, euro 26) che ne ricostruisce la biografia con fonti copiose e poco note. Sin da quando venne alla luce quell’in­diano stranamente «Ricciuto» e «Dai biondi capelli». Correva l’an­no 1840, per i Lakota, la tribù dei Sioux da cui proveniva, era la sta­gione passata alla storia come «Quando rubammo cento cavalli». In quel tempo i coloni americani stavano diventando brutali con­quistatori del West a danno degli indiani d’America. Cavallo Pazzo seppe ridestare l’orgoglio del suo popolo portandolo alla vittoria nell’epica battaglia del Little Bi­ghorn quando sconfisse le Giubbe Blu del generale (in realtà tenente colonnello) Custer. Dicono che Crazy Horse fosse invulnerabile al­le pallottole, in virtù di poteri so­prannaturali. Il libro dello storico americano dimostra come l’indo­mito coraggio e la saggezza erano frutto di una «profonda religio­sità ». Cavallo Pazzo aveva appreso il credo lakota, per cui ogni cosa in natura era animata da un’energia misteriosa. Però già a 7 anni «ave­va ascoltato con grande attenzione uno strano personaggio in visita a­gli accampamenti, il padre gesuita Pierre-Jean De Smet». E Kingsley M. Bray cita anche una fonte per cui «grazie a De Smet e altri mis­sionari, Cavallo Pazzo aveva acqui­sito una conoscenza approfondita di Cristo e della sua vita su questa terra, tanto che l’aveva preso come modello da imitare lui stesso». Certo il libro non ne fa un santino, ricorda le azioni atroci di cui si macchiò nel difendere la propria tribù e qualche «sbandata» dovuta anche alle tragedie familiari, tra cui il suicidio della madre, che lo colpirono quand’era ancora un fanciullo. Riuscì a venirne fuori con lunghe meditazioni; «il misti­co guerriero delle Grandi Pianu­re », si ritirava spesso in disparte per riflettere. Il destino gli voltò le spalle solo alla morte nel 1877, quando vide vanificate le sue con­quiste e sperimentò perfino il tra­dimento di alcuni amici, come quello di Piccolo Grande Uomo, che proprio grande con lui non fu. Ma chi rimase al suo fianco giura che anche nelle ultime ore conci­tate e oscure, Cavallo Pazzo con­servasse il potere del Tuono. L’estrema difesa del generale Custer nella famosa battaglia di Little Bighorn, secondo una litografia d’epoca Il capo indiano Cavallo Pazzo in un ritratto fotografico da studio
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