mercoledì 18 gennaio 2012
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​Quando Karol Wojtyla, l’11 giugno 1988, venne a Messina per celebrare la canonizzazione della grande mistica Eustochia Smeralda Calafato, dell’ordine delle Clarisse, forse non immaginava che stava per elevare agli altari colei che ispirò il sommo artista Antonello da Messina in uno dei capolavori più celebrati e riprodotti, l’«Annunciata» o «Annunziata», che oggi col suo sublime volto gigliato accoglie i visitatori di Palazzo Abatellis di Palermo. Un’Annunziata «senza angeli» – i milanesi hanno potuto ammirarla nell’ottobre 2007 al Museo diocesano – che colpisce per quella mano sospesa e protesa che Longhi definiva la «più bella mano della storia della pittura». Un «ordine delle somiglianze» che merita degli approfondimenti, e che li avrà sabato 21 gennaio a Roma, nella chiesa di Santa Maria Odigitria dei Siciliani, dove alle 18 si terrà l’incontro «L’ordine delle somiglianze: Antonello e santa Eustochia» con la presentazione di un quaderno dell’associazione culturale «Antonello da Messina» di Roma. Perché c’è quasi un «Codice Antonelliano» a unire uno dei più grandi maestri del Rinascimento e una mistica clarissa, entrambi sullo sfondo del mitico Stretto di Messina, luogo che ha naturalezza con leggende e segreti. <+corsivo>«Diria che d’Antonelo da Messina/ Ghè una Madona con un libro avanti,/ Che de sto Mondo i studij tutti quanti/ Nò i ghà certo una cosa cusì fina», scriveva nella sua Carta del navegar petoresco del 1660 Marco Boschini, che ammirò il dipinto antonelliano – datato 1475-76 – a Venezia, città «belliniana» dove l’artista peloritano si stabilì da protagonista, come evidenziato anche dall’ultima biografia su Antonello da Messina curata da Mario Lucco e appena pubblicata per le edizioni del Sole-24 Ore. Il volto magnetico e lieve dell’«Annunziata» – riportato su poster, copertine, gadget, libri e riviste e diventato un’autentica icona del nostro Quattrocento artistico  – potrebbe quindi essere quello della clarissa che Papa Wojtyla ha voluto canonizzare a oltre 500 anni dalla morte. Una serie di saggi recenti – come quello dello studioso di storia messinese Nino Principato (pubblicato sulla rivista culturale «Moleskine») e quello di Daniela Gambino, riportato nel volume 101 storie sulla Sicilia che non ti hanno mai raccontato (Newton Compton) – hanno rilanciato questa sorprendente ipotesi che identifica la «santa in piedi» – il cui corpo incorrotto è posto rialzato nell’abside della chiesa di Montevergine di Messina – come possibile modella e ispiratrice del capolavoro, mettendo a confronto diverse tesi che sembrano comporre un mosaico dall’indubbio fascino.Le ipotesi riprendono e integrano quelle elaborate dallo storico messinese Giuseppe Miligi (autore anche di un’apprezzata biografia sugli anni «messinesi» di Giorgio La Pira), il quale nel capitolo intitolato significativamente «Il pittore e la clarissa» del suo volume Francescanesimo al femminile osserva come Antonello – nato nel 1430 – e Eustochia – nata nel 1434 – siano i personaggi di maggior rilievo espressi nel XV secolo da Messina; città rinascimentale che, come osserva acutamente in una recente monografia lo storico Salvatore Bottari, si stagliava sul Mediterraneo come una metropoli mercantile dalla grande vitalità culturale e religiosa. Antonello non poteva non conoscere il ruolo e l’attività svolta da Smeralda-Eustochia, sua vicina e coetanea, la cui fama stava sviluppandosi velocemente. Il piccolo Antonellus iniziava la sua attività di apprendista proprio a ridosso della «contrada dei setaioli», dove Eustochia Smeralda trascorse la sua infanzia e la prima adolescenza. Antonello degli Antoni era nato nella vicina contrada Sicofanti, adiacente a quella che veniva definita la via dei Monasteri, e aveva la casa-bottega poco distante sia dal monastero dell’Accomandata – sito nell’ex ospedale della Santa Ascensione, dove Eustochia Calafato nel 1458 fondò il primo monastero del Sud Italia sotto la regola di santa Chiara –, sia da quello di Montevergine, fondato dalla futura santa nel 1464. Segni di una vicinanza che non era solamente geografica ma anche di visione religiosa. Sia Antonello che Eustochia, infatti, erano ferventi francescani, entrambi aderenti alla linea degli Osservanti dai tratti spirituali e ascetici che contrastava polemicamente coi Conventuali. Non a caso Antonello, terziario francescano, ardente cristiano molto legato a uno spiritualismo puro, per sottolineare la sua aderenza ai principi di povertà e umiltà, chiese nel testamento del 14 febbraio 1479 di essere seppellito con abito dei Minori Osservanti nel «convento Sanctae Mariae Jhesu cum habitu dicti convectus», il convento di Santa Maria di Gesù a Ritiro, da tempo al centro del mistero sulla localizzazione della «tomba di Antonello».In questo contesto francescano bisogna annotare inoltre come uno degli sfondi  più noti del pittore, quello contenuto nella «Pietà» del Museo Correr di Venezia, raffiguri le absidi della chiesa di San Francesco all’Immacolata, simbolo di quella spiritualità francescana – molto viva nella città peloritana – che Garin fa coincidere con le «origini del Rinascimento». A rafforzare una costante attenzione al francescanesimo dell’artista siciliano, tre autorevoli biografi del sommo pittore siciliano (Bottari, Natoli e Pugliatti) mettono in luce anche il dipinto ora scomparso che riproduce santa Chiara, presente nel monastero di Basicò – sede iniziale di sant’Eustochia – e considerato un «precedente di Antonello», oltre che di una tavola «antonelliana» nella chiesa di San Francesco di Messina. Anche in base a questa vicinanza religiosa – come rileva a storica Caterina Zappia – in Sicilia si è alimentata nel tempo una vulgata che identifica nell’«Annunciata» del sommo Antonello (attribuita fino al 1899 a Dürer e riconosciuta dal Brunelli come antonelliana solo nel 1904) «la Beata suora messinese Eustochia dei Calafati» (L. Perroni Grande). Una tesi che alcuni studiosi novecenteschi hanno ripreso e rielaborato, tra gli altri Domenico Puzzolo Sigillo che, dopo aver ammirato il dipinto e averlo raffrontato con il corpo incorrotto delle clarissa, scriveva nel 1925: «Io credo invero che non si possa ammirare la bella Vergine leggente del sommo pittore messinese, senza rivedere con la fantasia la Beata Eustochia, nel silenzio arcano della sua cella». Lo studioso peloritano rilevava la «somigliantissima conformazione scheletrica ed ossea delle medesime» e trovava delle analogie uniche e particolari tra le corporature e un’identica «sagoma zigomatica». Somiglianze «evidenti» riscontrate e ribadite anche dal gesuita Francesco Terrizzi e dallo storico locale Intersimone, che nel 1956 parlava della santa messinese come «inconsapevole ispiratrice di Antonello», ribadendo che «vinto dalla grazia e dalla sua santità, Antonello avrà voluto ritrarre la pura bellezza di Eustochia nel mirabile quadro detto l’"Annunziata", che dipinse probabilmente nei primi mesi del 1461»: un omaggio diretto alla concittadina in odore di santità ma che in quel periodo stava subendo attacchi da parte di certi gruppi di «seculari e frati».La somiglianza «impressionante» tra il ritratto del celebre dipinto e il volto del corpo incorrotto della «vergine più intellettuale, più spirituale e più suggestiva allora vivente ed operante in Messina», si unisce ai legami davvero incredibili tra Eustochia e il mistero dell’Annunciazione. Come rileva la Leggenda della Beata Eustochia, biografia scritta dalle consorelle subito dopo la sua morte, la religiosa era nata «lo Jovedi Santo, lo giorno de la Annunciata», il 25 marzo 1434. Il luogo di nascita poi apre a sorprendenti coincidenze, dato che il quartiere dove si trova la casa natale si chiama ancora oggi Annunziata, quel vicum Annuntiatae citato dal grande erudito messinese Maurolico, sito nella zona Nord di Messina, non lontano dal Museo regionale che ospita due capolavori antonelliani, il Polittico di San Gregorio e la tavoletta che ritrae la Madonna con bambino benedicente «con un francescano» sul recto. Miligi osserva come ben quattro madonne «siciliane» sembrino richiamare i tratti somatici della santa (il citato polittico di San Gregorio e le madonne di Palermo, Monaco e Palazzolo Acreide), opere che ritraggono delle «Annunziate» con tratti eloquentemente mediterranei e meridionali, come sottolineato anche da autorevoli storici medievisti quali Pispisa e Tramontana: un «tipo fisico reale, sempre lo stesso», rilevò l’illustre storico dell’arte Alessandro Marabottini in occasione della Mostra Antonelliana di Messina nel 1981, che farebbe pensare a una donna «vera che lo ispirò e il cui viso venne idealizzato dal pittore» attraverso l’«astraente visione» di una figura di riferimento.A ciò si aggiunge il fatto che – come mette in rilievo Elena La Fauci Di Rosa in un studio edito dal Monastero di Montevergine – il velo che copre il capo dell’«Annunciata» somiglia molto a quello delle clarisse e si avvicina alle mantelle azzurre usate dalle ragazze siciliane che «sanno di chiostro» (Savarese). Aggiungiamo anche come la parte scollata del petto della Madonna assomiglia a un tipico soggolo, usato dalle monache di quell’epoca, come la Monaca di Monza, e che la pagina del libro che l’«Annunziata» sembra sfogliare viene identificata da alcuni studiosi nella Regola di santa Chiara, custodita gelosamente dalla clarissa che l’aveva ricevuta dopo un ritrovamento considerato «miracoloso». A questi elementi si aggiunge che – come osserva Principato – il committente dell’«Annunziata», il banchiere locale Giovanni Mirulla, era parente di suor Giovanna Mirulla, seguace di Eustochia. Tutti dati che potrebbero confermare il desiderio dell’artista di rendere omaggio sia all’Ordine, a cui era devoto, sia alla concittadina che di quell’Ordine era illustre esponente; tanto che, realizzando dipinti di Madonne, le rendeva tutte meravigliose «Annunziate».
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