sabato 22 marzo 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
«Dopo gli incidenti, ogni volta che ho rimesso in piedi un pilota, è come se avessi assistito alla resurrezione di Gesù…». È il pensiero dell’unico mistico apparso nel "Circo" delle due ruote, la MotoGp: il dottor Claudio Costa. A 73 anni, l’inventore della provvidenziale Clinica Mobile ha deciso per il "fine corsa". E mentre il "Dottorcosta" - per la tribù del motociclismo si pronuncia così, tutto attaccato - continuerà a visitare in ambulatorio, la sua creatura, con lo staff degli "angeli custodi" in camice bianco («una settantina tra rianimatori, ortopedici, anestesisti, fisioterapisti e radiologi») seguirà, come da 37 anni a questa parte, gli "angeli in sella" che sfrecciano per i circuiti del Motomondiale 2014, domani al via. «Un vero maestro si deve far da parte quando il suo "delfino" è ancora giovane e il mio successore, il dottor Michele Zasa, con i suoi 34 anni ha più o meno la stessa età di quando io ho cominciato questa missione». Una missione, che merita di essere ripercorsa, partendo dalle origini. «La passione per il motociclismo me l’ha trasmessa mio padre, Francesco Costa, che nel 1953 fondò l’autodromo di Imola». E fu durante un’edizione della Coppa d’Oro Shell che avvenne l’iniziazione. «Era il 22 aprile del 1957. Contro il volere di mio padre ero riuscito a convincere i custodi della curva delle Acque  Minerali a farmi stare proprio lì, nel punto in cui Geoff Duke cadde con la sua Gilera. Non ci pensai su un attimo: mi precipitai a soccorrerlo e lo trascinai fuori dalla pista, evitando che venisse travolto dagli altri piloti... Mio padre, alla fine della gara mi rimproverò davanti a tutti, poi però rimasti soli mi abbracciò e mi disse: “Claudio, questo è il tuo destino, è ciò che farai per tutta la vita” . E così è stato».Un filo di commozione lo tradisce, quando ripensa a quel "battesimo" da futuro medico dei centauri. Di ognuno ricorda i grandi splendori e le piccole miserie, comprese le tragiche date di morte degli "angeli caduti in volo" («una decina almeno») nei vent’anni che passano da quel primo salvataggio fino alla nascita della Clinica Mobile.«L’idea di un automezzo per le emergenze e il trasporto "salvavita" dei piloti all’ospedale più vicino al circuito piacque a Gino Armisano che nel ’76 finanziò il progetto. Ma quel tipo di assistenza mobile io già lo praticavo dal ’74, al fianco di Giacomo Agostini...». L’insuperato "Ago" detentore di 15 titoli iridati. «Agostini era nato fenomeno, ma era anche uno che prima di ogni corsa si poneva dei forti dubbi, ed è sempre stato molto più profondo di come l’hanno voluto far passare… Tipo, come uno che non aveva mai pagato un caffè in vita sua», sorride il Dottorcosta che referta: «Del resto l’avarizia è il peccato più diffuso tra i piloti. Ma c’è una logica che li fa essere così, eccessivamente parsimoniosi: è come se prima di ogni Gp mettessero da parte un obolo con la consapevolezza che quello gli potrà tornare utile domani, una volta scampato il pericolo mortale». Siamo entrati nella pista, altrettanto trafficata, della scaramanzia? «Certo, ma perché la scaramanzia dà al pilota l’illusione di poter dominare la realtà. Anche scendere dalla Clinica Mobile e imboccare una determinata porta  o indossare una certa maglia di un tal colore, gli consente di essere padroni del "dopo" e di poter risalire in sella alla moto anche quando il loro corpo è martoriato dalle ferite più dolorose». Riflessioni di un medico che ha studiato a fondo le pieghe in curva e, da fine psicologo, anche quelle dell’anima dei piloti. Gente senza invidia. «Nel motociclismo l’invidia viene superata dalla competizione e dalla speranza di battere l’avversario. Non c’è tempo per essere invidiosi quando giri la manopola del gas. L’invidia semmai è fuori, lontana dal paddock, e l’ha provata sulla sua pelle Valentino Rossi quando ha commesso, e pagato, l’errore dell’evasione fiscale. È stato in quel momento che Valentino ha visto in faccia uno per uno i suoi nemici, che poi erano quelle stesse persone che fino al giorno prima gli avevano dedicato templi ed altari votivi". Dopo quella del fenomenale Agostini, il Dottorcosta ha vissuto l’era del "Dottore" di Tavullia, 9 volte campione del mondo (l’unico in 4 categorie diverse): «Valentino è un portatore sano di ebbrezza vitale. Non ha problemi di età e sono sicuro che a 35 anni può ancora dare il meglio di se, come pilota e come uomo». Il suo successore si pensava fosse Jorge Lorenzo: «Uno che sa cos’è la paura e attraverso quella fragilità umana ha costruito la corazza del pilota perfetto. Jorge, uscito dalla sala operatoria ha sfiorato il podio…», ricorda il Dottorcosta che ha fatto in tempo a "benedire" il vero erede di Valentino, il campione in carica della classe regina, Marc Marquez. «L’energia dei vent’anni, rende Marquez immune dalla paura. Appena l’ha avvertita, l’ha travasata nel coraggio incosciente di chi dopo 16 cadute è arrivato al titolo e al Mugello con il mignolo e l’alluce fratturato si è piazzato secondo…». Inevitabile non arriovare a lui, Marco Simoncelli, l’ultimo angelo volato via per sempre, a 24 anni, sotto gli occhi colmi di lacrime del Dottorcosta. «Il mio omaggio al "Sic" è stato un libro, “La vittoria di Marco e il folle sogno del dinosauro: eroi, non estinguetevi” (Fucina Editore). Simoncelli è stato un dono per tutti noi, con la sua simpatia contagiosa, la sua semplicità e quel sorriso bello sotto quella criniera unica. Marco non si è mai staccato dalla sua moto e a quella signora che è la morte, il 23 ottobre 2011 a Sepang, ha detto: "Non mi potrà mai toccare, perché io sono pane impastato dagli dei". Quaggiù, di quel pane buono di ragazzo ci restano le briciole, a ricordarci che la morte è un’avversaria, ma anche un’amica che ci incoraggia continuamente a superarla. In questa sfida, credo stia il senso del motociclismo e in fondo è anche quello dell’esistenza di ciascuno di noi».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: