lunedì 10 febbraio 2014
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Tetraplegico dal 1993 in seguito a un incidente di parapendio, Philippe Pozzo di Borgo, classe 1951, ex direttore di una prestigiosa azienda di champagne, ha raccontato la sua storia nel libro Il diavolo custode (“Le Second Souffle”, 2001): la perdita della mobilità di tutti gli arti, la depressione dopo la morte della moglie Beatrice, l’incontro con l’aiutante domestico Yasmin Abdel Sellou, marocchino, la ritrovata gioia di vivere. Dal libro è nato il film Quasi amici (Les intouchables, 2011: 55 milioni di spettatori nel mondo) di Olivier Nakache e Éric Toledano, in cui il ruolo di Philippe è interpretato da François Cluzet. Da ottobre Philippe si trova in ospedale e resterà allettato fino a marzo.Come va il nostro mondo?«La notte scorsa, mentre soffrivo, pensavo a tutto il dolore spaventoso che c’è nel mondo. Allora mi dico semplicemente che c’è ancora molto da fare nella nostra umanità. Perché queste sofferenze possono essere diminuite. La sofferenza è legata all’umiliazione delle persone. Siamo in una società che crea umiliazione, attraverso la miseria, la mancanza di rispetto. Ricevo un’infinità di messaggi di persone un po’ a pezzi. Penso che nel mondo ci siano cinque o sei miliardi di umiliati. Come si può stare in una società così violenta, sempre più violenta? Siamo in transizione? Con la globalizzazione finanziaria si avverte che ci troviamo in un vicolo cieco. Quale può essere una parola di fede quando c’è tanta sofferenza, tanta violenza e tanta umiliazione generalizzata? Siamo ben lontani da un mondo pacificato dalla presenza di Dio. Perché “venga il suo regno”, c’è ancora molto da fare!».E lei, qual è il suo stato di spirito?«Ho conosciuto tre lunghi periodi di silenzio. Un po’ imposti. La prima volta: un anno di ospedale dopo l’incidente, in rianimazione, allettato, a guardare il soffitto senza potermi muovere. La seconda volta dopo la morte di Beatrice: era un silenzio di depressione. La terza volta, vent’anni dopo, è oggi. Per tre volte mi sono trovato in silenzio, a guardare il soffitto, che significa faccia a faccia con se stessi, con il cielo interiore. In queste tre esperienze ho sempre avuto la stessa sensazione, io che ero molto attivo, molto impegnato, molto performante, molto caricaturale della nostra società occidentale. Nel silenzio, e completamente inerme, ogni volta ho avuto la sensazione di vivere una mise en abyme, cioè di toccare il fondo del fondo di cosa sono, di chi sono. E a quel punto mi chiedo se non si tocchi lo Spirito di Dio, ritrovando, nella propria esistenza, il vero mistero della vita. Sei nel più profondo di te stesso e sei nella creazione. Sono molto affascinato dalla contrapposizione che esiste tra questa creazione, nella quale sono, che è infinitamente fragile, diversificata, complessa, transitoria, e il mondo totalmente monolitico nel quale mi trovavo prima, che semplifica le cose, le standardizza… Mi chiedo se oggi la nostra società non vada verso la collisione, verso l’assurdo, per i tanti umiliati che ci sono».Quali sono le cause di questo rischio di collisione?«Primo flagello: il bisogno di mettersi al sicuro attraverso l’avidità, accumulando, invece di mollare la presa. Bisognerebbe fermare questa corsa, questa concorrenza, questa obesità di comportamento. Bisogna smettere di avere paura. Mi chiedo se non ci sia questo all’origine di tutto. Mi riferisco al comune consumatore. Quanto ai super-ricchi, per me è qualcosa che supera la capacità d’intendere. Va cancellato! Il consumismo m’inquieta, certamente. È indecente. Secondo flagello: l’egoismo, che fa sì che non si veda l’altro. Come si può essere brutali, indifferenti? Il disimpegno, faccio fatica a capirlo. Se si ripartisse in maniera egualitaria la ricchezza mondiale, il livello di vita di tutti gli uomini sarebbe quello medio della Turchia».Non c’è speranza possibile?«Penso che ci sia un rinnovamento nella riflessione. Sento la gente parlare di ecologia, ad esempio, anche se in Francia se ne parla male. I rischi, la povertà… Si sente dire, sempre più spesso, che non se ne può più. La prima riforma da fare è rendere il silenzio obbligatorio [ride, ndr]. Perché quando sei in questa interiorizzazione, quando ti cancelli per fare spazio al mondo dentro di te, ti accorgi che questo mondo è straordinariamente intelligente. Ascolto Cristo, attraverso quello che mi dicono il curato di Essaouira (Marocco) e altri, e sento qualcuno che esprime esattamente il buon senso, una soluzione per il mondo: la felicità nella frugalità e l’attenzione agli altri, ai più piccoli, ai più sfortunati. Da duemila anni non c’è stato nulla di più pertinente di questo messaggio per sradicare l’umiliazione. Cristo è anche un gruppo. È sempre con i suoi discepoli. Anche se Cristo sembra essere sempre l’ispiratore, l’azione degli apostoli è collettiva. Questo disegna forse un modello sociale basato sulle associazioni. Sono molto sensibile alla fraternità nell’umanità, quando leggo Saint-Exupéry e Camus. La responsabilità. Bisogna prendersi le proprie responsabilità, bisogna fare la propria parte. Camus è molto vicino a quanto dice Cristo».(per gentile concessione del quotidiano “La Croix” traduzione di Anna Maria Brogi)
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