sabato 27 settembre 2014
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«Il doping è una materia complessa, multidisciplinare e per comprenderla bisogna essere estremamente preparati, umili. Quindi, cercare di non annegare nei fiumi d’inchiostro, come quelli che esondano in questi giorni dietro al “caso Schwazer”.... È l’analisi tagliente del dottor Dario D’Ottavio, biochimico, per quattro anni componente della Commissione di vigilanza sulla legge antidoping, ex consulente del Nas, referente per la lotta al doping del Cnc (Consiglio Nazionale dei Chimici) e animatore su Facebook del nutrito gruppo “Antidoping: facciamo qualcosa”. Ieri finalmente Carolina Kostner, ex fidanzata di Alex Schwazer è stata ascoltata dalla procura antidoping del Coni. «Non sono molto interessato a quello che potrà dire o non dire, anche perché scusate, ma le dichiarazioni della Kostner non si conoscevano da due anni? Per quale motivo allora, la convocano solamente adesso?». Non alimenti i nostri innumerevoli dubbi, piuttosto ci dica che idea si è fatta della vicenda di Schwazer? «Che si fa presto a creare l’idolo, e altrettanto in fretta a distruggerlo. So che a livello psicologico Schwazer sta passando un periodo terribile. E allora, ogni tanto bisognerebbe mettere da parte l’atleta e pensare all’uomo. Il caso Pantani avrebbe dovuto insegnare qualcosa, no?». Ma “gli Schwazer” in circolazione sono così tanti nello sport azzurro? «Tanti no, altrimenti sarebbero tante anche le medaglie vinte, e non è così. Se questa brutta storia fosse capitata al 44° classificato sarebbe già nel dimenticatoio, ma è toccata a un campione olimpico ed ecco spiegato il polverone alzato dal vento del gossip». Quanta responsabilità hanno le federazioni, i loro dirigenti, i tecnici e i medici che pare abbiano coperto un “sistema” dedito all’illecito? «Teniamo alta la bandiera della presunzione d’innocenza, almeno finché non ci saranno condanne in via definitiva. Però in un sistema perverso in cui le federazioni ottengono finanziamenti in base alle medaglie conquistate, è inevitabile che si sia tentati di utilizzare anche metodi non leciti. Tra questi, eticamente rientra anche la “medicalizza- zione spinta”: perché somministrare quintali di antidolorifici o ferro a un giovane atleta se non ne ha bisogno?». Nella lotta al “doping pesante”, invece, a che punto siamo? «Fermi alla dura realtà che il doping è sempre in vantaggio sull’antidoping, semplicemente perché con il primo ci si guadagna, mentre l’antidoping è solo un costo. Nonostante i progressi fatti dalla scienza disponiamo di metodi non esaustivi: inoltre alcune sostanze scompaiono rapidamente. Per non parlare di tecniche di mascheramento assai sofisticate». E quali sarebbero queste “tecniche di mascheramento”? «Ne conosciamo diverse, ma prima di tutto è vietato elencarle e poi che facciamo, aiutiamo il nemico a diventare più forte e malfattore di quanto non sia già?» Come si possono arrestare le troppe bande del malaffare? «Nel progetto “Io non rischio la salute” che stilammo con Sandro Donati e altri colleghi, avevamo tracciato una prima via d’uscita: andate a rileggerla, se avesse avuto un seguito sicuramente la situazione odierna sarebbe migliore». Quanti atleti presume abbiano fatto uso di sostanze dopanti? «Tanti, ma di atleti pentiti ne conosco soltanto una, la ex campionessa della marcia Giuliana Salce, la quale ha pagato caro l’aver denunciato la verità... La Salce è stata emarginata, sopravvive a fatica con un contratto a termine come operatrice ecologica». La Salce è stata operata di tumore, a testimonianza che il doping può causare gravi malattie e seminare morte. «Insorgenze di leucemie in soggetti che hanno assunto Epo per lunghi periodi sono descritti. Chi ha assunto Gh, essendo un fattore di crescita, con il passare del tempo corre il rischio che il suo organismo possa dare origine a neoplasie. Ma lo spettro vero dello sport olimpico sta arrivando in tutta la sua tragica dirompenza...». Quale sarebbe il prossimo spettrale nemico dello sport? «Il doping genetico. Un mostro che non siamo assolutamente attrezzati a fronteggiare. Con il passaporto biologico, il ciclismo dimostra, che oltre ad evitare una sicura moria di atleti, è una difesa efficace. Contro il genetico però occorrono strategie diverse, ho qualche idea ma è necessario il supporto di uno staff scientifico polivalente e di prima qualità». Può illuminarci sulle novità da introdurre nella lotta globale al doping? «Il primo è il passaporto termodinamico, per capire se la fisiologia giustifica il dispendio di energia di atleti che, per intenderci, hanno il motore di una 500 e poi si scopre che corrono come una Ferrari. Il trucco c’è, ma non si vede senza questo tipo di rilevamento. Così come il passaporto antropometrico darebbe una misurazione precisa delle ossa (e non solo), smascherando in futuro uno sviluppo anomalo: tipo un ciclista che in età matura aumenti di due numeri le scarpe». Si parla sempre di ciclismo e di atletica, ma quel calcio che in un anno ebbe 14 positivi al nandrolone di colpo è diventato lo sport più pulito? «Quelle positività emersero nel momento in cui si stava ricostruendo il laboratorio antidoping. Precedentemente non si cercavano gli anabolizzanti nel calcio, e quindi si era passati dal “tutto è lecito” a una situazione di polizia. Con il passaporto biologico, unito a quello termodinamico e antropometrico, anche nel calcio qualcosa di anomalo potrebbe venir fuori...».
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