martedì 17 novembre 2009
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Nella storia delle iniziative cattoliche per attenuare le conseguenze della persecuzione antiebraica giganteggiano alcune figure femminili: donne che, per servire la loro profonda fede in Cristo, sfidarono la morte pur di contrastare la follia antisemita del regime nazista.La figura probabilmente più luminosa resta Margarethe Sommer, berlinese, che iniziò, poco più che trentenne, la sua battaglia come sostenitrice del canonico Bernhard Lichtenberg, parroco di Santa Edvige, la più importante chiesa cattolica della capitale tedesca. Già a metà degli anni ’30 monsignor Lichtenberg aveva dato vita allo Hilfswerk beim Ordinariat Berlin («Opera di soccorso presso la Diocesi di Berlino»), con il preciso scopo di fornire assistenza ai ben 190 mila ebrei (40 mila dei quali convertiti al cattolicesimo) residenti in città. Il vescovo di Berlino Konrad von Preysing, che non farà mai mistero della sua avversione al nazismo, affidò alla Sommer la direzione della Hilfswerk. Da quel momento, la Sommer si prodigò per mettere in salvo – con visti per l’emigrazione o ricoveri in case tenute da religiosi – migliaia di ebrei sia osservanti (più del 50%), sia convertiti al cattolicesimo o al protestantesimo. Margarethe aveva iniziato la sua attività a Santa Edvige cercando di proteggere i «cittadini non produttivi» (dementi, affetti da malattie inguaribili, vittime dell’Alzheimer) dai medici assassini dell’Ispettorato per la Salute, il famigerato T4. Nel febbraio 1942 sarà lei a fornire ai vescovi tedeschi un rapporto completo sul massacro di Kovno, avvenuto nell’estate del 1941, il primo sterminio di massa degli ebrei. In quella località polacca furono assassinati più di 18 mila ebrei, tra cui cinquemila bambini. Quando, nell’ottobre di quello stesso 1942, ventimila ebrei di Vienna e di Berlino vennero deportati nel ghetto di Lódz, fu ancora Margarethe Sommer a ricostruire la sorte che era stata riservata a quegli sventurati. Questi rapporti spinsero le autorità ecclesiastiche della Germania ad attivarsi per nascondere o aiutare a fuggire il maggior numero possibile di famiglie ebraiche. Vi fu anche un tentativo del vescovo Von Preysing di presentare al governo una petizione in favore degli ebrei, firmata da tutti i vescovi tedeschi. La redazione del testo fu affidata alla Sommer, che stese un documento esemplare, colmo di sdegno per le condizioni disumane nelle quali i perseguitati erano costretti a vivere in attesa della morte. Un’altra donna che spese la propria esistenza per lottare contro la Shoah fu Gertrud Luckner, una cattolica di Friburgo che, già nel 1933, aveva perfettamente compreso le intenzioni di Hitler nei confronti degli ebrei. Laureatasi in Scienze Sociali nel 1938, entrò nella Caritas e ne divenne rapidamente un’autorevole esponente sul piano nazionale. Dopo essere stata aggredita a Friburgo da un gruppo di giovani attivisti del Nsdap, entrò in contatto, a Monaco, con padre Alfred Delp, il gesuita che avrà un ruolo centrale nella preparazione dell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944, e, a Berlino, con il gruppo filosemita cattolico guidato da monsignor Lichtenberg. «Quando l’emigrazione divenne impossibile per via della guerra – scrive Michael Phayer – la Luckner continuò il suo lavoro attraverso gli uffici della Caritas, viaggiando segretamente in tutto il Paese per organizzare una rete clandestina di aiuti basata sulle sezioni locali dell’organizzazione, e continuando contemporaneamente la sua attività a Friburgo, dove aiutava gli ebrei ad attraversare clandestinamente i vicini confini con Svizzera e Francia e dava sostegno a quanti erano impossibilitati a emigrare». Arrestata dalla Gestapo il 24 marzo 1943 mentre, in treno, stava raggiungendo Berlino reduce da Katowice (Polonia), dove aveva raccolto precise notizie sullo sterminio attuato nei vicini Vernichtungslager di Auschwitz e Birkenau, dovette subire due anni durissimi di detenzione, sottoposta a interrogatori e violenze senza fine. I suoi carcerieri volevano incastrare il vescovo di Friburgo, monsignor Konrad Gröber, ma Gertrud non parlò mai. Constatata l’inutilità delle loro sevizie, i nazisti la rinchiusero a Ravensbrück. Riuscì tuttavia miracolosamente a sopravvivere in un campo di sterminio dove, nei 5 anni della guerra, persero la vita più di 90 mila donne. Madre Matylda Getter era la superiora delle Sorelle della Famiglia di Maria, uno degli ordini monastici femminili più popolari in Polonia. Fu lei a organizzare e portare a buon fine il salvataggio di migliaia di ebrei. Aveva iniziato correndo in aiuto dei bambini. Il convento più importante dell’Ordine, dove madre Matylda operava, era situato nel centro di Varsavia, di fronte a uno degli ingressi del ghetto ebraico creato dagli occupanti nazisti subito dopo la conquista della capitale polacca. Madre Matylda e le consorelle si organizzarono per salvare quanti più bambini fosse possibile. Con rapide puntate notturne, riusciranno a ospitarne, nella casa madre e in altri conventi dell’ordine, più di 2500. Nel febbraio 1943 8 suore furono fucilate, avendo rifiutato di rivelare il nascondiglio dove avevano ospitato un gruppo di famiglie ebree. Un’altra splendida testimone dell’abnegazione femminile cattolica tesa al salvataggio degli ebrei fu l’ungherese Margit Slachta della congregazione del Servizio Sociale. Notissima e popolare in tutto il Paese per essere stata, nel 1920, la prima donna eletta al Parlamento ungherese, in seguito si era fatta suora ed era stata collocata alla guida della congregazione. Nel 1940, indignata per la tragedia di 24 famiglie ebraiche prelevate dalle loro case e rinchiuse in una isolata regione montana, dove avevano trovato la morte per il freddo e per la fame, aveva scritto alla moglie del Reggente, Ilona Horty, sollecitandone l’intervento. Da quel momento, anche grazie al discreto sostegno della consorte dell’ammiraglio Horty, era riuscita a proteggere decine di famiglie, finché, agli inizi del 1944, nei primi tre mesi della loro occupazione, i tedeschi avevano deportato nei campi di sterminio 300 mila ebrei. In quelle infuocate giornate, madre Slachta convocò le consorelle nel convento principale di Budapest e, con la loro collaborazione, riuscì a porre in salvo duemila ebrei fatti uscire nottetempo dal ghetto. Non mancò la miserabile vendetta delle «croci frecciate», che assassinarono una suora sua stretta collaboratrice. E lei stessa fu aggredita e picchiata a sangue. Non si può chiudere questa insufficiente panoramica sulle virtù femminili dell’antinazismo cattolico senza ricordare l’attività della giovane studentessa parigina Germaine Ribière, che diede vita all’associazione Amitié Chrétienne dopo avere assistito, nel maggio 1941, a un rastrellamento nazista nel quartiere ebraico parigino del Marais. Poiché l’aria di Parigi si era fatta troppo pesante per lei, si trasferì a Lione, dove diede vita al giornale clandestino Cahiers du Témoignage Chrétien, che arrivò a tirare 25 mila copie, attaccando duramente sia le autorità militari tedesche sia la polizia francese sottomessa ai loro voleri, e denunciando puntualmente tutte le violenze poste in atto contro le comunità ebraiche. Fu Amitié Chrétienne, con il pieno appoggio del cardinale di Lione Pierre Gerlier, a spingere i vescovi francesi a una protesta ufficiale contro i provvedimenti antisemiti presi dal governo di Vichy.
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