giovedì 7 maggio 2015
Il tecnico degli emiliani: «Non sono rimasto per fare l’eroe. Dignità e orgoglio, così abbiamo reagito al fallimento Le colpe? Anche di Lega e Figc. Se mi chiamasse, al Milan non direi di no».
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Lo dicono i numeri: da quando la società è stata dichiarata fallita, il 19 marzo scorso, e anche prima che fosse matematicamente condannata alla retrocesione, il Parma non ha mai smesso di incassare applausi. Roberto Donadoni, secondo lei che questa squadra la sta guidando nella tempesta, la dignità e l’orgoglio vengono prima di tutto? «Non credo sia corretto fare un confronto tra il prima e il dopo. Tuttavia, la dignità è certamente un valore fondamentale per chiunque. Senza quella sarebbe tutto più difficile. Sta finendo per noi una stagione massacrante. Passare dal centenario, festeggiato l’anno scorso, al fallimento è una cosa atroce per una città come Parma che ha una storia importante». Fare bene sul campo fino all’ultima giornata potrebbe spingere gli imprenditori locali a investire nel club prima che sia troppo tardi. Crede che il traguardo sia possibile? «Non dovrebbe essere questa la molla decisiva. Se ci fossero imprenditori interessati alla società, i risultati sul campo non farebbero la differenza in questo momento. Perché penso che l’appetibilità di una società sia data soprattutto dai numeri e dai programmi. Gestione oculata e idee chiare: è così che le società di calcio possono ancora garantire benefici economici di tutto rispetto per se stesse e per tutto il movimento. Bisogna cominciare a ragionare in altri termini se non si vuole che accada di nuovo quanto è successo al Parma». Malgrado la retrocessione in B, i tifosi credono che il rilancio del club sia possibile. Come spiega tanta fiducia? «La gente si è resa conto di quello che la squadra ha vissuto negli ultimi mesi. Se l’entusiasmo di chi sostiene un club dovesse essere limitato al risultato sportivo, non si potrebbe più parlare di tifo. L’affetto nei confronti di una società deve andare oltre. Oggi si vedono in giro esempi che con il tifo non hanno niente a che vedere. Gente che minaccia, che picchia. Bisogna avere la forza e il coraggio di dire basta a fatti del genere. A parole la pensano tutti come me, ma nel concreto si fa sempre troppo poco». Ieri Belfodil ha risolto consensualmente il suo contratto che scadeva nel 2018, facendo risparmiare 7 milioni al Parma. Lei non ha mai espresso dubbi in passato circa le logiche di mercato della società che aveva la follia di 130 giocatori a carico? «E chi sapeva che c’erano 130 giocatori tesserati in giro per il mondo? Come posso sapere se la società decide di mettere sotto contratto 30 calciatori oppure 50? Il mio compito è allenare una squadra, non fare contratti, altrimenti avrei un ruolo differente». Sente di aver imparato qualcosa da questa vicenda? «Si impara sempre. Qui sono successe cose inverosimili, ma bisogna essere coerenti e dire, come ripeto da tempo, che se il cane morde non è sempre colpa del cane, ma anche dei padroni. E i padroni, in questo caso, non erano soltanto Ghirardi e Leonardi, bensì la Federazione e la Lega calcio, che hanno permesso che si arrivasse a una situazione simile. Oggi è toccato al Parma, domani potrebbe toccare a un’altra». E il calcio italiano? Crede che la lezione sia servita? «Mi auguro di sì, ma ho dei dubbi. Perché siamo bravissimi a dimenticarci in fretta quanto accade e a mettere toppe qua e là, permettendo  che si aprano buchi da altre parti. Serve invece un approccio diverso, e che chi opera nel pallone faccia qualcosa di costruttivo. Noi passeremo ma c’è il futuro: il calcio italiano è secondo al mondo per i proventi dei diritti telesivi, evidentemente non li sappiamo gestire». “La rosa di Donadoni, senza problemi societari, si sarebbe salvata tranquillamente”, ha detto il tecnico dell’Empoli, Maurizio Sarri. Questa squadra non poteva fare di più? «A inizio campionato non si parlava ancora di fallimento, ma i problemi c’erano già ed erano ben evidenti a tutti. Non venivamo pagati e la società continuava a rimandare gli impegni presi con la squadra in tutti i modi possibili. Una situazione che ha influenzato non poco fin dalle prime gare il modo di pensare dei giocatori, che invece di concentrarsi sul campo avevano la mente altrove». Al netto dei risultati delle ultime settimane, cosa ne pensa dei giocatori 'dimissionari' come Antonio Cassano che hanno abbandonato la squadra nei giorni della tempesta? «Ho un pensiero che voglio tenere per me. Se avrò la possibilità di dire la mia ai diretti interessati, lo farò di persona, non certo per mezzo di un’intervista. Troppo facile esprimere giudizi sugli altri tramite i giornali e non riflettere sulle proprie responsabilità». Cosa le ha dato più fastidio di quanto è stato detto e scritto sul Parma negli ultimi mesi? «Tutto quanto è stato detto da persone che parlano senza conoscere da vicino la realtà del Parma: si dimostrano presuntuosi e non mi interessa discutere con loro». C’è stato un momento in cui ha pensato seriamente di farsi da parte? «Mi sarei fatto da parte se non avessi avvertito una reazione da parte dei giocatori. Al contrario, ho percepito da loro una richiesta di aiuto alla quale non mi sono sentito di sottrarmi. Per questo, sono rimasto e ho provato a dare il mio contributo. Sarebbe stato facile dire basta e andarmene, mi sarei probabilmente guadagnato qualche mese di vita. Ma non appartiene al mio modo di ragionare. E ci tengo a chiarirlo: non ho scelto di andare avanti per fare l’eroe. Per carità, gli eroi sono altri e fanno altri mestieri. Ma quando si ricopre un ruolo e si hanno delle responsabilità, è giusto affrontarle. Scappare è spesso la scelta più semplice». A quali condizioni potrebbe decidere di rimanere sulla panchina del Parma anche nella prossima stagione? «Per il momento, è un pensiero che non mi sfiora nemmeno. Con la squadra ho speso tante energie fisiche e mentali. Quelle che restano le useremo per le partite che mancano alla fine della stagione. Quando staccheremo, avremo la lucidità necessaria per affrontare il futuro». Il suo nome viene da anni accostato al Milan, ma alle parole non sono mai seguiti i fatti. Se arrivasse la proposta, lei se la sentirebbe di tornare in rossonero? «Sono i fatti che contano, non le parole. Ma se il Milan, che è una delle società più importanti al mondo, decidesse di offrirmi questa possibilità, come potrei dire di no? È chiaro che dovremmo ragionare sull’opportunità a 360 gradi, ma sotto il punto di vista professionale sarebbe una proposta che prenderei sicuramente in considerazione». Chi la conosce bene, dice che lei è un uomo riservato e poco attento ai riflettori. Non è un limite per il calcio di oggi? «Potrebbe essere anche un limite, ma io sono fatto così. Penso di avere fatto molti passi in avanti rispetto a quando ho iniziato ad allenare, come tecnico e come persona, e spero di farne altri in futuro». Tempo fa, lei ha detto: “La normalità non fa notizia”. Lo pensa ancora oggi? «Nel calcio, ci sono tanti giocatori di grande talento che sprecano le loro energie verso scopi non positivi. Se solo riuscissero a capirlo, vivrebbero molto meglio. Sì, oggi c’è tanto bisogno di normalità».
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