sabato 19 marzo 2022
60 anni fa moriva una delle figure più complesse della Chiesa del ’900 Conosciuto in modo “settoriale”, l’attività culturale e politica erano da lui vissute tutte come parte della sua vocazione
Don Giuseppe De Luca nel 1937

Don Giuseppe De Luca nel 1937

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«Caro mons. Loris, pochi attimi prima dell’intervento, chiedo al Santo Padre la benedizione. A lei un abbraccio e, nel caso che il Signore mi prendesse, raccomando a lei, dico a lei personalmente, i miei cari: mentre nelle mani di Dio metto l’anima, nelle mani sue, caro don Loris, metto i miei. Sono stato un peccatore e un outsider, ma ho amato Gesù, la Chiesa, il mio sacerdozio e, me lo lasci dire, il Papa». Così la sera del 12 marzo 1962, don Giuseppe De Luca, il “prete romano” fra i più grandi eruditi del ’900 – ricoverato d’urgenza al “Fatebenefratelli” – scriveva all’allora segretario particolare di Giovanni XXIII, nonché futuro cardinale centenario, Loris Francesco Capovilla. Una settimana dopo, il 19 marzo, De Luca moriva stroncato dal tumore che l’aveva colpito.

Due giorni prima, il 17 marzo, aveva ricevuto in ospedale la consolazione di una visita di Giovanni XXIII al quale avrebbe detto – secondo i testimoni presenti, ossia la so- rella Maddalena, Capovilla, Adriano Ossicini – «Beatissimo Padre, al di là di questa camera io vedo la scena del Tabor e mi dà tenerezza». «Me ne vengo dall’ospedale dove son andato a salutare don Giuseppe. Potrebbe essere stato l’ultimo saluto. Ma non c’è malinconia sul volto di quell’uomo. C’è la luce di fede, la fede dei bimbi, del Meridione, luce d’amore a Gesù, al sacerdozio, al Papa», così nella stessa data Capovilla a don Giovanni Rossi della Pro Civitate di Assisi. Mentre quel 19 marzo così papa Roncalli avrebbe annotato sul suo diario: «Il caro don Giuseppe De Luca è morto stanotte, fra molti dolori, ma lasciando tutto in edificazione: le sue estreme parole angosciose e confidenti Veni, Domine Jesu; noli tardare. Aveva anima e lingua esuberante, ma intelligens et rectus, continuerà ad amare il Papa e a pregare per lui».

Potremmo continuare. Anche altre schegge diaristiche o da carteggi potrebbero accompagnarci dentro «la più interiore cella» di don Giuseppe. Sino ad avere conferma di ciò che davvero è stato essenziale per lui. Ribadito nelle sue ultime righe e in quelle di chi gli stava accanto: il suo essere prete, un programma di vita che si era imposto poco più che quarantenne: «Sarò un santo, non cioè di onori, ma di vita e cioè di amore di Cristo, amore fortissimo e dissimulato nella letteratura? Mai come stasera le mie speranze sono state più ferme », scriveva a Romana Guarnieri il 14 agosto 1941.

Un presbitero che già dieci anni prima dichiarava «son prete, del sacerdozio apprezzando e vivendo la verità profonda più che non la prassi e il mestiere». E che nei vent’anni successivi avrebbe tenuto aperte le sue porte a tutti – «io non respingo nessuno: son prete» – arrivando con il suo servizio sino ai “Ai confini del Regno” come titola la biografia scritta da Giovanni Antonazzi, uscita postuma con le Edizioni di Storia e Letteratura e la cura di Paolo Vian. È lui, attuale viceprefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano, ad aver ricordato di recente – fra i lasciti di don Giuseppe – il duplice invito rivolto a credenti e non credenti di tornare a riflettere e a studiare. «Ai primi De Luca ricorda che non salviamo l’anima senza l’intelligenza; ai secondi ricorda che il patrimonio cattolico non è quello che talvolta si vuol far credere e che forse gli stessi cattolici lasciano miseramente far pensare… La fede cattolica è qualcosa di grande, una ragionevole scommessa per attraversare il mare dell’esistenza; e la Chiesa non si può ridurre a una storia criminale», ha detto Vian. Che ha pure invitato a rileggere De Luca non solo evitandone le frammentazioni ricorrenti (l’intellettuale in tonaca, l’imprenditore di cultura, l’editore, lo scrittore, il confidente di letterati, artisti, politici, ecclesiastici, studiosi…), ma nella sua complessità di prete «specchio del ’900». Un secolo che abbiamo lasciato alle spalle, spesso insieme a chi non lo meritava.

Nel frattempo però su de Luca si annunciano nuove pubblicazioni: dall’attesa sintesi che da anni occupa Mariano Apa su De Luca, l’arte e gli artisti, all’originale ricerca di Sica sul testamento nascosto nell'ultima poesia. E nuovi convegni: citazione d’obbligo per quello a Roma, all’Istituto Sturzo, il 24 marzo alle 16, occasione anche per presentare il libro di Antonazzi. Con Francesco Malgeri, Giampaolo D’Andrea, Vincenzo Paglia, Vanessa Roghi, Paolo Vian, Giuseppe Maria Viscardi, Francesco Mores. L’incontro è in presenza previa registrazione, ma sarà anche in streaming sui canali Fb e Youtube dello 'Sturzo'.

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