domenica 26 settembre 2021
Parla Don Eyles, il programmatore del calcolatore di Apollo 11: «L'esplorazione spaziale umana è all'alba di una nuova era. Il codice può essere anche un'arma: per questo è centrale l'elemento etico»
La partenza del razzo Apollo 11 da Cape Canaveral

La partenza del razzo Apollo 11 da Cape Canaveral - Archivio Avvenire

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«La parola "codice" è analoga alla parola "prosa". Un programmatore non scrive 'un codice', scrive una certa quantità di codice o un certo numero di righe di codice». Pochi meglio di Don Eyles potevano spiegarlo in maniera così semplice e in così poche parole. Questo perché Eyles ha dedicato la sua vita al codice: informatico, ora in pensione, ha lavorato al computer di bordo del Programma Apollo della Nasa, che portò i primi uomini sulla Luna. Eyles parlerà il 7 ottobre in occasione del Codefest a Torino, in un evento dal titolo «Code me to the Moon (and back). La storia nascosta del codice dell’Apollo», in cui porterà il racconto della sua esperienza nella creazione dell’Apollo Guidance Computer.

Quali sono oggi i trionfi e le insidie della tecnologia spaziale?

«I veicoli spaziali robotici continuano la loro esplorazione di Marte e dell’esterno, e la commercializzazione dell’orbita terrestre continua a ritmo sostenuto, ma è nell’eccitante campo del volo spaziale con equipaggio che siamo all’alba di una nuova era, grazie ai nuovi modi per raggiungere l’orbita terrestre che sono stati recentemente dimostrati. L’orbita terrestre è la nuova frontiera per le spedizioni nello spazio».

Se dovesse descrivere cos’è un codice, come lo spiegherebbe?

«Il codice può essere modellato, proprio come romanzi, racconti e saggi. Sia 'codice' che 'prosa' si riferiscono al linguaggio, e un linguaggio per computer è proprio questo, un linguaggio ricco da usare, di routine o con lo scopo di essere elegante».

Come è nata la sua passione per la programmazione?

«Sono cresciuto amando i puzzle, e mi piaceva costruire cose. Queste sono le caratteristiche di un programmatore, in grado di visualizzare l’architettura dell’intero edificio in costruzione e in grado di elaborare la logica dettagliata che gli darà vita. Quelle risorse e il tempismo fortunato mi hanno dato l’opportunità di lavorare su Apollo, ma la 'passione' era più per l’esplorazione che per i mezzi».

Quali sono le sfide del futuro in questo settore?

«Le mode della programmazione andranno e verranno e continueranno ad apparire linguaggi che enfatizzano questa o quella qualità. Il codice si evolverà come mezzo artistico. I computer ovviamente diventeranno sempre più veloci e avranno memorie sempre più grandi. I programmi sono diventati così grandi che sfidano la concettualizzazione umana. Il codice può diventare un nascondiglio per il male. Dovrebbero essere creati programmi in grado di analizzare enormi masse di codice e aiutare gli umani a capire cosa hanno creato».

Nello sviluppo della tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale, vengono considerati gli aspetti etici?

«Senza dubbio, ma come con qualsiasi arma, ciò che conta è l’intento dell’utente. E l’intento può essere ambiguo. La stessa tecnologia che consente a Siri o Alexa di capire cosa stiamo dicendo, migliora notevolmente la capacità dei governi di monitorare le conversazioni private. Bene o male? Il concetto di codice era misterioso ai tempi dell’Apollo, ma in qualche modo oggi forse lo è un po’ meno. Credo i bambini dovrebbero imparare qualcosa a questo riguardo a scuola: in alcuni posti lo fanno».

Che cosa ricorda dell’Apollo 11?

«L’ansia della discesa motorizzata e il mio software in funzione. Il computer che lanciava allarmi di cui avevamo ben compreso le implicazioni, ma della cui causa non avevamo idea. Il tono di voce di Armstrong quando ha richiesto una lettura sul primo dei cinque allarmi. La coraggiosa decisione di Mission Control di andare avanti. E infine, la mattina dopo, quando il mistero è stato risolto».

Come sarà il computer per la prossima missione sulla luna?

«I computer di base che controllano il volo e garantiscono la sicurezza potrebbero non essere i più moderni, perché le radiazioni nell’ambiente spaziale possono influenzare alcuni chip, ma, proprio come oggi, sulla Stazione Spaziale Internazionale ci saranno numerosi computer aggiuntivi di design moderno per scienza e altri compiti».

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