giovedì 13 dicembre 2018
Parla il cantautore tarantino Diodato, che sarà sabato premiato da Libera per Musica contro le Mafie. «Il momento e la politica attuale richiedono sempre più di cantare l’impegno»
Il cantautore Diodato

Il cantautore Diodato

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«Anche la canzone può mostrare una visione alternativa del futuro. Per questo “Musica contro le mafie” è una manifestazione importante e sono onorato di essere premiato». Antonio Diodato, più conosciuto come Diodato, uno dei cantautori più intensi e raffinati del panorama italiano, sabato prossimo riceverà al Teatro Morelli di Cosenza, al pari della sua fidanzata Levante e degli Ex Otago, il premio conferito dall’Associazione Musica contro le mafie, parte della rete di Libera, di cui è presidente onorario don Luigi Ciotti. E canterà sullo stesso palco in cui si sfideranno i dieci finalisti del Premio Musica contro le mafie, selezionati fra tremila candidature in tutta Italia.

Diodato, è un cantautore sui generis, capace di tenere insieme Luigi Tenco e i Radiohead, formatosi in Svezia con la musica elettronica per esordire nel 2013 con l’album E forse sono pazzo, per farsi notare nel 2014 fra le Nuove proposte del Festival di Sanremo con l’originale Babilonia. Nel 2017 con Carosello Records pubblica l’album Cosa siamo diventati e conquista pubblico e critica allo scorso Sanremo, piazzandosi ottavo con il brano Adesso interpretato in coppia con l’amico Roy Paci. Con lui e l’attore Michele Riondino, cinque anni fa Diodato ha fondato nella sua Taranto il concertone “alternativo” del Primo Maggio.

Diodato, lei a Cosenza quale contributo darà in musica per la legalità?

«Eseguirò alcuni brani chitarra e voce in cui tocco il sociale. Io ho sempre scritto cercando di fotografare ciò che succede in una vita. Anche nelle difficoltà si può cantare il sociale. Nel pensare a delle storie finite, minate dalle difficolta tutti i giorni, dai luoghi in cui vivi, dalla perdita del lavoro. In più, sia Levante sia io siamo fra i cento artisti che hanno dato la loro testimonianza nel libro promosso dall’associazione Musica contro le mafie Change your step. 100 artisti, le parole del cambiamento (Rubettino Editore, a cura di Gennaro De Rosa, ndr) che uscirà a gennaio.»

Anche nel brano dell’ultimo Sanremo si invitava a vivere pienamente la vita e ad accorgersi degli altri…

«Una canzone dedicata al Meridione, alla paralisi come stato mentale che io da “terrone” posso permettermi di scrivere. In molte città del sud si percepisce l’idea che sia meglio stare fermi che muoversi altrimenti ti succede qualcosa di spiacevole. Meglio stare zitti, passare inosservati, non alzare i polveroni. In generale penso all’Italia, un paese che non cambia mai, che ha bisogno di aggrapparsi alle sue paure, altrimenti rischia di fare passi in avanti inevitabili legati all’evoluzione globale che esiste. Noi abbiamo questo freno sempre tirato.»

Stiamo anche attraversando un momento politico particolare…

«Chi alimenta certi fuochi è sempre colui che raggiunge maggiore attenzione nel nostro Paese, mentre esiste una parte più progressista e attenta. Sono arrivato quasi a rimpiangere i politici di una volta, quella studiata attenzione al linguaggio, perché si sentiva il peso della responsabilità. Oggi la sensazione è che non ci sia più senso responsabilità, che si possa dire qualunque cosa con termini sbagliati. Invece bisogna tener conto anche delle minoranze, di chi arriva in questo Paese per tanti motivi, di chi non la pensa come te. Come è posma sibile questa superficialità?»

Per questo lei e i suoi colleghi avete creato l’“altro” Primo Maggio, che porta in primo piano anche i problemi di Taranto?

«Quando cinque anni fa abbiamo organizzato il concerto del Primo Maggio a Taranto, siamo stati considerati degli “illegali”. Eravamo lì senza i sindacati e senza alcun appoggio politico e istituzionale. Però quanto è stata importante questa manifestazione. Queste manifestazioni, come questa di Cosenza, vanno contro un silenzio che diventa la regola. Si cerca di mettere in pratica un futuro alternativo, hai la sensazione di dare voce alla lotta interiore di persone che vivono in situazioni molto difficili in cui devi fare l’eroe per poter vivere nella giustizi morale e sociale. Difendiamo la libertà di poter agire nella giustizia, cerchiamo di tracciare un sentiero. La musica aiuta tanto, ma poi bisogna intervenire con le istituzioni.»

Lo farete anche quest’anno?

«Certo, lo faremo finché ci sarà bisogno di denunciare. Intanto abbiamo fatto scoprire una città bellissima, rivitalizzandola dal punto di vista turistico. E la città scopriva se stessa in un’altra visione, non solo quella della città legata all’industria che uccide. Nessuno dovrebbe morire per lavorare: nel nostro concerto si tocca l’argomento della criminalità, che può essere considerata mafia come stato mentale. Mentre Taranto ha tante potenzialità.»

Anche la sua fidanzata Levante, premiata anche lei a Cosenza, condivide il suo impegno?

«Io e lei viviamo in maniera molto intima e personale una visione della musica molto simile, ma in modo totalmente indipendente. Lei è una donna molto attenta a certi argomenti. Il coraggio è donna, molte sono le autrici brave in questo momento. I grandi cambiamenti sociali sono mossi da coloro che sono più forti, e sono più forti le donne.»

Da artista indipendente al successo a Sanremo: che anno è stato per lei questo 2018?

«Un anno bellissimo, perché io credo di essere un maratoneta. Ultimamente mi guardo in giro e vedo tanti centometristi. Io appartengo più alla filosofia del passo dopo passo, mettendo molta cura nelle cose che faccio. Mi sono alleggerito tanto, ho imparato tanto dalla musica del passato che non era superficialità, ma aveva una leggerezza data da una grande poesia che io non riesco ancora a raggiungere. Ora sono all’interno di un percorso, mi interessa il viaggio, incontrare le persone, incontrare il pubblico, scrivere musica che mi somiglia e non fare cose che non mi renderebbero felice. A breve uscirò con un altro brano e cercherò di racchiudere tutto in un album per la primavera per tornare in tour.»

A proposito di concerti, cosa ne pensa della polemica sul trap, dopo il dramma del concerto di Sfera Ebbasta ad Ancona?

«Sono cose molto delicate, si rischia urtare la sensibilità di tante persone che stanno soffrendo. Però è un errore considerare il trap solo una musica da ragazzini. Questi musicisti stanno fotografando qualcosa, anche cose agghiaccianti. Alcune canzoni trap fotografano un vuoto, ma quel vuoto c’è. Oppure c’è chi lancia un messaggio fortissimo come Cara Italia di Ghali: è la prima volta che si racconta la nuova Italia dei figli degli immigrati. Siamo cittadini del mondo, i confini li hanno inventati i politici.»

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