sabato 3 ottobre 2015
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La relazione vera richiede gratuità e apertura. Suppone un atteggiamento positivo nei confronti del partner nel dialogo. Egli ha diritto alla mia benevolenza, fin dall’inizio! Affinché l’incontro sia fruttuoso, devo anche abbandonare ogni tentativo più o meno cosciente di manipolarlo, e bandire ogni proselitismo, come anche Gesù l’ha bandito. Devo rinunciare a cercare di portare l’altro nel mio campo. Non dico che si debba abbandonare ogni desiderio di vedere l’altro che scopre il mio tesoro, la mia fede, e vi aderisce. Al contrario. Ma devo ammettere che anche il mio interlocutore musulmano nutra il desiderio che io aderisca alla sua fede. Questo fa parte della condivisione reciproca che sta al cuore dell’incontro e del dialogo. Un hadith (tradizione attribuita al Profeta dell’islam) dichiara: «Nessuno diventa credente se non desidera per il suo prossimo quello che desidera per sé stesso». Posso illustrare il concetto con un’esperienza personale. Quando ero professore in un collegio femminile nel Sud algerino, un giorno, dopo la lezione, un gruppo di ragazze adolescenti circondò la mia cattedra. Una di loro, la più coraggiosa, mi chiese quasi supplicandomi: «Signore, dica la Shahada» (la professione di fede musulmana). Le risposi di non poter tradire la mia fede, perché sono cristiano e mi sono incamminato sulla via di Gesù. E lei mi replicò, delusa e anche un po’ in collera: «Allora, professore, andrà a bruciare nel fuoco dell’inferno!». Ma una delle sue compagne si staccò dal gruppo ed esclamò davanti alle altre: «Ebbene, se lei sarà all’inferno e io sarò in cielo, wa Allah!, discenderò all’inferno per cercarla!». Non mi lasciai impressionare dalle parole della prima, ma rimasi molto colpito dalla dichiarazione della seconda. Avrei già un passaporto assicurato per il paradiso? Queste ragazze desideravano per me quello che a loro sembrava più prezioso: la fede musulmana. Posso desiderare che l’altro condivida la mia fede, ma nel rispetto della sua scelta. Una cosa è il desiderio di vedere l’altro condividere il mio tesoro, un’altra è il tentativo di utilizzare la reciproca relazione e amicizia come un mezzo, un’esca, per convertirlo alla mia religione.
 
La conversione è opera di Dio, del quale non posso prendere il posto. Dio ci ha creati liberi ed è il primo a rispettare il mistero della libertà data all’uomo. Dobbiamo armarci di molta pazienza, perché i partner musulmani possono talvolta diffidare del nostro desiderio di incontro e di convivialità. Alcuni ci rimproverano di utilizzare il “dialogo” come una “campagna di evangelizzazione”. Anche tra i cristiani, parecchi ritengono che la nostra presenza dovrebbe essere la “propedeutica” o l’anticamera della conversione alla fede cristiana. Un’altra riflessione ci viene rivolta come un rimprovero: voi aiutate i musulmani a essere migliori musulmani! I miei amici musulmani mi hanno aiutato a essere un cristiano migliore, e senza dubbio questa non era la loro intenzione.
 
L’incontro vero, senza motivazioni recondite, ci porta fino in fondo alla nostra fede. Affinché il dialogo sia possibile, occorre essere in una relazione di reciprocità. È chiaro che non posso obbligare un musulmano a incontrarmi se lui non lo desidera. Ma rifiutare sistematicamente il dialogo con il pretesto che ai cristiani viene negato il diritto alla libertà in altri Paesi non ha niente a vedere con le esigenze del Vangelo! È vero che in Arabia Saudita, per esempio, non c’è libertà di culto per migliaia di cristiani, e questa è una situazione ingiusta che si deve denunciare. Ma posso forse far pesare questa ingiustizia sul mio vicino? L’attitudine evangelica non è quella di tendere sempre la mano? Forse comincio a essere cristiano, figlio del Padre celeste, quando continuo a tendere la mano (o a porgere la guancia!) davanti al reiterato rifiuto da parte dell’altro… Dobbiamo dunque avanzare senza sosta con un’attitudine di apertura sincera, senza “secondi fini”, accettando anche di essere tacciati di una certa ingenuità.
 
Dom Christian de Chergé ha scritto nel suo testamento parole che interpellano con forza: «Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: “Dica adesso quel che ne pensa!”. Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità. Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come Lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria del Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze». L’avvenire è di Dio: egli farà dei nostri incontri quel che vorrà. Se essi si svolgono nell’amore e nel mutuo rispetto, non è forse già presente?
 
* vescovo di Laghouat-Ghardaïa (Algeria)
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